“Jugoslavija” è un nome preciso, chirurgico, evocativo e estetico: l’immaginario contenuto nel semplice titolo dell’esordio di Giovane Giovane dice infatti tanto, non solo sul disco, ma sull’essenza stessa della visione artistica.

“Luigi” aveva dato una aspettativa forte all’attesa, perchè il cantautore, credo romano di nascita, mostra una visionarietà  non banale nello scontornare una figura immensa. Una lotta tra l’estetica del passato e del ricordo si accende in questo disco, in particolare in pezzi come “Perdoname Madre” o “Passante”.

Il disco si confronta, anche a livello sonoro, con quelli che possiamo definire citando Barthes, i miti d’oggi: i suoni dell’oggi sono però coniugati con una struttura e un modo di pensare che riesce a costruire una impalcatura di miti e storia contemporanea. Storia, arte, musica e rappresentazione di un paese come la Jugoslavia che diventa terreno di incontri, scontri, ricordi che probabilmente sono fittizi, o meglio frutto di una visione accesa e realmente strutturata su un concetto, un’idea artistica.

Il concetto e la struttura del pensare artistico di Giovane Giovane non sempre riescono a reggere a livello sonoro: se nei testi ci sono delle perle contemplative e di storytelling, i suoni troppo emulsionati e già  sentiti rischiano di far saltare un’impalcatura che ha delle radici molto solide.

Lo spirito non intuisce se non facendo, formando, esprimendo“: credo che questa frase sia stata scritta da Benedetto Croce, ma è perfettamente calzante per un lavoro e un artista del genere, che ora ha le chiavi del suo avvenire in mano. Giovane Giovane ha bisogno di ruminare, macinare tanto altro perchè la portata artistica di un progetto del genere è importante, e se un disco con un framing così preciso può sembrare un’operazione fuori tempo, in realtà  mostra una direzione molto oculata.

La sensazione in canzoni come “Compilation” o “Ex Cinema” è quella di trovarsi dinanzi ad una strada molto precisa (sia come immaginario testuale che musicale), il consiglio, per il prossimo futuro, è magari quello di lasciarsi ispirare dal caos sano.

Fare, esprimere, formare, tre imperativi categorici per uno dei progetti artisticamente più affascinanti dell’anno. L’interesse è nel cuore del suo germoglio acerbo, nella mancanza di hype (e stronzate simili) e nell’assoluta genuinità .

“Jugoslavija” è un’opera prima della quale si può parlare con imperturbabilità  senza essere colti dalle distorsioni dovute alla smodata ricerca di un’estetica modaiola ad ogni costo.

Credit Foto: Marco Arzilli