Il terzo album è sempre un passo importante per una band soprattutto se il tuo sophomore si chiama “The Dream Is Over” e ha trovato tantissimi riscontri positivi in giro per tutto il globo. Che cosa dobbiamo quindi aspettarci dai PUP? Saranno capaci di rimanere ancora su valori così elevati come in passato?

Il sogno, però, come vedete, non è finito, anzi speriamo possa continuare il più a lungo possibile: pubblicato dalla loro etichetta, la Little Dipper, e registrato insieme al produttore Dave Schiffman (Weezer, The Mars Volta), questo nuovo LP dei PUP è per fortuna ben distante dal mostrarci un gruppo giunto al termine della sua corsa, anche se il cantante e chitarrista Stefan Babcock sta combattendo una dura battaglia contro i suoi demoni (leggi: depressione e una ricerca di un ottimismo che pare ancora lontana).

La title-track, che apre il disco, pur con testi molto pesanti che parlano dei problemi affrontati dal frontman, con le sue chitarre esultanti, dona un inaspettato e incredibile senso di euforia sin da subito e ciò non puo’ che fare piacere a chi ascolta: particolare l’outro ““ molto rallentato e riflessivo ““ che porta a un’uscita parecchio diversa rispetto allo stile del resto del brano.

Se vogliamo parlare di “chiusure” differenti, non possiamo fare a meno di citare anche “See You At Your Funeral”: una vera botta di intensità  e adrenalina per oltre tre minuti (ottime anche le sue sensazioni melodiche), per poi lasciare spazio a un gentile e delicato pop dalle venature psichedeliche che sembra riportarci indietro di alcuni decenni.

La lunga “Scorpion Hill” cambia di umore molto spesso durante i suoi cinque minuti: pur rimanendo molto forte per tutta la sua durata sotto il profilo emotivo, quello che ci colpisce non sono le sue progressioni decise, ma i suoi momenti riflessivi e morbidi, inaspettati quanto graditi, che dimostrano l’aspetto più sensibile di Babcock e della sua band.

L’inquietudine pervade anche “Closure”: punk, sfrontato e catchy, mostra una certa vulnerabilità  da parte del gruppo di Toronto.

Discorso a parte per “City”, inizialmente riflessiva e tranquilla, sembra portare i PUP su territori completamente differenti: la seconda metà  del brano, invece, dura e rumorosa, ci lascia camminare su sentieri hardcore molto pesanti.

Un album (per i suoi testi) segnato in maniera indelebile dai problemi psicologici del suo songwriter, “Morbid Stuff” comunque non perde quella sua sensazione di divertimento e quella voglia di melodie su cui lasciarsi andare nel pogo più sfrenato: sicuramente le date italiane nei prossimi mesi (in agosto alla Bay Festa di Bellaria (RN) e a novembre al Circolo Ohibò di Milano) ci sapranno dare una risposta migliore, ma per il momento rimaniamo più che soddisfatti da ciò che abbiamo appena ascoltato.

Credit Foto: Vanessa Heins