Steve Clarke e Rachel Goswell, musicisti, marito e moglie. Lei la musa ispiratrice del marito. Quella che lo ha salvato da uno stato di “impasse” in cui il musicista era precipitato, per percorsi di vita non andati a dovere. Pensate bene a una musa come Rachel, se ci riuscite. Figura che poi non solo infonde da lontano il suo tocco, ma decide anche di partecipare attivamente al progetto, che si tinge a questo punto di un sapore familiare, ricco di amore e di sguardi mai rassegnati ma ottimisti e speranzosi.

La coppia funziona musicalmente, c’è poco da dire. Il disco è bello e suggestivo, ricco di un fascino e lirismo che non richiama il passato di Rachel con gli Slowdive, ma si avventura su soluzioni che si avvicinano tanto ai Mercury Rev o ai Super Furry Animals quanto ai Verve più dilatati e visionari. Il territorio su cui si muove la coppia è uno psycho-space-rock (non a caso anche le note stampa dicono che un punto di riferimento sono i Pink Floyd) che diventa funzionale per accumulare sogni e magie che, si spera, poi diverranno reali.

La varietà  che la band mette in campo è apprezzabile. Mi piace pensare alla musica dei Soft Cavalry come all’immagine di un lago, che a tratti può essere ferma, carezzevole e delicata e altre invece può essere scossa da onde che rendono la superficie increspata o addirittura agitata. L’acqua però mi serve per trasmettere quel senso di liquidità  e di passaggio che questi suoni hanno innati dentro di loro. La concreta “Dive”, le note magnifcamente pop (alla Real Estate) di “Never Be Without You”, l’avvolgente e dal sapore mistico e angelico “Passerby”, passando per il tocco delicatissimo di “Only In Dreams” e la ballata struggente “Mountains” (così scarna eppure così toccante) sono i punti migliori del lato più rassicurante, mentre invece ecco che l’aspetto più movimentato (anche emotivo, se non sonoro) si esalta nella ritmica elettronica di “Bulletproof” o nella magnifica “The Velvet Fog” (vero punto alto dell’album), vero e proprio trattato di indie-rock oscuro e inquieto, da pelle d’oca, sopratutto quando il climax sale, facendo incontrare chitarre e synth epici. Anche “Home” presenta un finale decisamente sonico e carico, in contrasto con una prima parte del brano acustica e, giuro, in odore di Alice In Chains persi in mondo etereo, lontani da questa terra.

Poteva essere un punto di arrivo questo album per Steve Clake e invece, grazie alla moglie, è diventato splendido punto di partenza. Fotografia di sentimenti e viaggio catartico che segna un nuovo inizio. Bravi. Davvero bravi.