Jack attaccati con i Feeder, giunti al loro decimo album in studio.

Un piccolo bignami di rock  quello dei ragazzi gallesi, che negli ultimi anni, dopo alcuni alti e bassi, hanno decisamente ripreso energia e vigore tali da far invidia a molti colleghi anagraficamente più giovani.

Certo, magari non ci sono pezzi del calibro di cavalli di battaglia come “Just a Day” o “Buck Rogers”, ma non manca nè l’adrenalina tantomeno l’entusiasmo, laddove le trame armoniche e melodiche sono ancora una volta di valore assoluto: e i Feeder, ricordiamolo, ne hanno vissute di situazioni che avrebbero steso un toro, almeno artisticamente parlando. Invece sono ancora lì, sul pezzo.

“Tallulah” fila che è un piacere, tra momenti da manifesto britpop (“Blue Sky Blue”, peraltro, era stata scritta da Grant Nicholas pensandola proprio per Liam Gallagher e il suo imminente “Why Me? Why Not”), strumentazione di base quanto baldanzosa ora (su tutte, “Youth”), più robusta poi (“Kyoto” mette in mostra una chitarra metallica e muscolare).

Per dare ancora maggior sostanza, non mancano brani dalla struttura sì  scolastica verse-bridge-chorus, ma che non perdono per strada un singolo  joule di energia (“Rodeo”), arricchimenti sporadici ma ben calibrati (gli archi dell’ascendente “Guillotine” o la tastiera di “Kyte” che ci riporta indietro nel tempo) e pure una soffice chiusura a calmare le acque fino a quel momento tenute ben agitate (l’acustica “Lonely Hollow Days” con il suo pizzicato).

“Tallulah” è esattamente l’album che avremmo voluto dai Feeder, e ce li conferma in ottimo stato di salute,  vitali,  incisivi e risoluti: del resto, importa veramente poco.