Spaventose battaglie aeree sopra i cieli della Gran Bretagna. Lancette di orologi ferme a due minuti dalla fine del mondo. Sfide all’ultimo sangue tra guerrieri armati di spada. Prigioni grandi come villaggi dove i detenuti vengono sottoposti al lavaggio del cervello e a ogni sorta di tortura psicologica. Faraoni folli che trascorrono la loro esistenza a essere convinti di essere divinità , per poi imboccare la via del sonno eterno e rendersi conto di non essere nient’altro che “schiavi del potere della morte”. Vecchi marinai tormentati che vagano di paese in paese a narrare la storia di un madornale errore costato la vita all’intero equipaggio di una nave.

Fu con un carico di racconti epici e avvincenti che gli Iron Maiden arrivarono al mastodontico “Powerslave”, uno degli album più rappresentativi e amati di quella nuova ondata di heavy metal britannico che travolse gli anni ’80 con la potenza di migliaia di cavalli al galoppo. Il quinto lavoro prodotto dalla band londinese, il terzo con Bruce Dickinson alla voce, è un vero e proprio kolossal.

Un enorme spettacolo non solo per le orecchie, ma anche per la vista: la copertina, disegnata dal maestro Derek Riggs, è talmente complessa e ricca di dettagli da aver fatto scattare, sin dall’epoca della pubblicazione, una sorta di caccia al tesoro tra i fan per individuare tutti i minuscoli simboli, riferimenti e scherzetti nascosti ai piedi e sulla superficie della piramide.

Al centro della scena, inutile dirlo, c’è lui: il mitico Eddie. La mostruosa mascotte è qui ritratta come una ciclopica statua egizia, seduta su un trono di granito. Vederlo posare le mani su due teste di sfinge fa una certa impressione, soprattutto se lo si ricorda com’era ai tempi dell’omonimo esordio: uno zombie scheletrico e putrescente, con gli occhi spiritati e i capelli spettinatissimi. In “Powerslave”, invece, si trasforma in un dio onnipotente e osannato.

Proprio come gli Iron Maiden d’altronde, che questo disco lo promossero con una tournèe tanto esagerata quanto utile nel trasformarli definitivamente in idoli celebrati dalle folle. Le otto tracce dell’album sembrano essere state scritte apposta per diventare immortali inni da stadio: dai ritornelli a presa rapida di “Aces High” e “The Duellists” (interpretati da un Dickinson che mette a dura prova la propria estensione vocale, uscendone tuttavia da trionfante vincitore) alle onnipresenti armonizzazioni pirotecniche degli axemen Adrian Smith e Dave Murray, praticamente ogni singolo minuto di questo album trasuda leggenda.

Poco importa se poi non è neanche il miglior album mai realizzato da Steve Harris e compagni: due capolavori assoluti dell’heavy metal come la title track e la lunghissima “Rime Of The Ancient Mariner” (tredici minuti e quarantacinque secondi di altissima cultura, visto che la traccia è basata in maniera più che fedele su un classico della letteratura inglese, ovvero “La ballata del vecchio marinaio” di Samuel Taylor Coleridge) valgono più di mille tesori di Tutankhamon.

Iron Maiden ““ “Powerslave”
Data di pubblicazione: 3 settembre 1984
Tracce:  8
Lunghezza: 51:12
Etichetta:  EMI
Produttore: Martin Birch

Tracklist:
1. Aces High
2.  2 Minutes To Midnight
3. Losfer Words (Big ‘Orra)
4.  Flash Of The Blade
5.  The Duellists
6.  Back In The Village
7.  Powerslave
8.  Rime Of The Ancient Mariner