Avevo bisogno di correre a perdifiato. Una corsa senza senso, veloce, rabbiosa. Ne avevo bisogno, era un pensiero incessante: volevo sentire di nuovo il sangue inondarmi le guance, la pelle pizzicare, avere il fiatone, di quelli enormi che desidereresti avere un forno industriale al posto della bocca per imbarcare tutta l’aria fresca del mondo. Me le ricordavo le partite infinite a calcio sul campetto di cemento dietro la scuola, avrò avuto 13 anni, le porte con le reti bucate, oltre i larici era ‘fuori’, le ginocchia sbucciate, la camicia stropicciata fuori dai jeans e l’impressione che il mondo finisse lì, in quel rettangolo grigio di felicità . Mentre scruto una cicatrice vecchia come i ricordi penso che tra queste sensazioni s’innestano le montagne di chitarre e il cuore grande dei Built To Spill.

Dire quale sia il loro miglior disco è impossibile, non avendone sbagliato uno che fosse uno nella loro quasi ventennale carriera. Scelgo questo, anno 1994, il rock prendeva strane strade autodistruttive mentre a Boise, Idaho, Doug Martsch faceva un lavoro sul suono che solo i Dinosaur Jr. avevano osato prima. A guardarlo non gli daresti due lire in mano, o forse sì, visto che il barbone cespuglioso che gli copre il viso abbinato ad un’ostinata voglia di farsi crescere i capelli lì dove pare impossibile che cresca un filo d’erba lo fa sembrare un mendicante, di quelli circonfusi di un alone mistico, con quello sguardo preciso che punta oltre la visione diretta per afferrare un fantasma visto in lontananza. Un ragazzino e i suoi sogni perfetti nel corpo ubriaco di un settantenne attempato e disgustato dalla vita e dai suoi compromessi sterili. E quella voce dalla voluttà  angelica, infantile, gentile, tagliente, sogno caramellato uscito difettoso e lasciato ad essiccare sul sedile lercio di un pick-up dimenticato in un parcheggio assolato.

Prendere i Beatles farli andare fuori di testa facendoli perdere per i vortici sonori dei Pink Floyd mentre bevono succo d’arancia con Jimi Hendrix, catapultarsi a rotta di collo nella giornata di sole più incredibile che tu abbia mai visto mentre nuvole nere ti rincorrono; ovunque risuonare e mai più odiare, un lampo elettrico di speranza, mezz’ora di possibilità , cedere un sorriso al frastuono: questo e altro qui dentro.
Un suono visceralmente emozionante, mai sentimentale, epici assoli di chitarra sempre alla ricerca di una melodia da sparare in orbita, pasta informe che si modella nella carne, stasera è maggio, brulica la strada di voglia di crescere.

Pavement, Modest Mouse, Dinosaur Jr., Death Cab For Cutie, Sebadoh, Rival Schools, Guided By Voices, Sunny Day Real Estate: dimenticateli, scomponeteli, metteteli in una centrifuga molecolare e fateli girare alla velocità  della luce. Poi fermati un istante e ascolta “Car”, “Cleo”, “Some”, “Reasons”, accantona le cazzate e celebriamo insieme quello che sta succedendo ora.

I Built To Spill rientrano tra quelle tre, quattro cose per cui vale la pena vivere. In un mondo senza inchiostro Doug Martsch scrive poesie con la chitarra ed entra di diritto a far parte dei più grandi chitarristi della storia.
Un giorno mi addormenterò nelle casse dei Built To Spill e non mi svegliarò mai più, sognerò con tutto il loro suono nelle orecchie, troverò il coraggio dei gesti persi per sempre.
Ora sono pronto, provate a fermarmi.

Built To Spill – “There’s Nothing Wrong With Love”
Release Date:
13 settembre 1994
Durata: 46:48
Etichetta: Up
Produttore: Phil Ek

Tracklist:
1. In The Morning
2. Reasons
3. Big Dipper
4. Car
5. Fling
6. Cleo
7. The Source
8. Twin Falls
9. Some
10. Distopian Dream Girl
11. Israel’s Song
12. Stab