A distanza di poco più di un anno dal bel debutto omonimo, tornano a farsi sentire i Messthetics. Per chi non lo sapesse, si tratta di un trio statunitense che propone un rock strumentale originale e ricco di sfaccettature, vivace quanto basta da non risultare pesante all’ascolto. Fusion, post-hardcore, progressive e psichedelia sono solo alcuni dei generi cui fanno riferimento il chitarrista Anthony Pirog e, udite udite, la sezione ritmica dei leggendari Fugazi (il bassista Joe Lally e il batterista Brendan Canty).

Se siete inconsolabili fan del quartetto di Washington D.C., sotto naftalina ormai da tempo immemore, qui troverete poco o nulla in grado di farvi passare la nostalgia. Le quasi impercettibili impronte fugaziane presenti nel primo disco, registrato in presa diretta e con alle spalle solamente una manciata di live, si avvertono in maniera assai leggera in “Anthropocosmic Nest”, e si concentrano soprattutto negli episodi più energici e movimentati. Tra questi vi sono l’ariosa “Better Wings” e la micidiale “Drop Foot”, interessantissimo esperimento punk rock nel quale Pirog si sbizzarrisce con l’effettistica.

Con un lavoro che è decisamente più coeso e articolato rispetto a quanto sentito in precedenza, i Messthetics puntano principalmente a dare una forma chiara a un suono che, grazie all’esperienza maturata in mesi e mesi trascorsi tra studio e sale da concerto, è profondamente cambiato. Se appena un anno fa il trio convinceva per la sua naturalezza e la spiccatissima vena jammistica, oggi impressiona in maniera assolutamente positiva con undici tracce in cui è la matrice fusion a predominare.

La libertà  del jazz più elettrico e “rumoristico” (è proprio il caso di dirlo, considerando i numerosi interventi noise di Anthony Pirog) caratterizza “Because The Mountain Says So”, “Pacifica” e “Pay Dust”, una brevissima parentesi funkeggiante arricchita da una prova davvero fenomenale di Brendan Canty dietro le pelli. Il bassista Joe Lally, roccioso e affidabile come al solito, è restio a qualsiasi tipo di virtuosismo o inutile artificio sonoro: le sue quattro corde modellano i groove essenziali ma incisivi sui quali, da buon guitar hero qual è, Pirog si scatena, mettendo in mostra uno stile e una tecnica che devono moltissimo alle lezioni di Robert Fripp, Nels Cline e Bill Frisell. Scusate se è poco.