di Fabio Campetti

Si ritorna all’Ohibo a Milano, dopo un po’ di tempo, riassaporandone subito l’atmosfera familiare, piccolo club diventato culto e punto di riferimento, con una programmazione sempre più importante, cresciuta stagione dopo stagione, attentissima alle proposte internazionali alternative, chiamiamole di nicchia e assolutamente lungimirante su quelle italiane, una sorta di under 21 per future nuove popstar, il classico esempio di come vanno fatte le cose quando si lavora.

Stasera on stage We Were Promised Jetpacks, post punkers da Edimburgo e Weakened Friends, from U.S.A., ad aprire le danze.

Diciamolo subito che l’opening act non è buttato lì tanto per riempire, in realtà  ci spaccano in due i timpani con un indie-rock suonato alla vecchia maniera, senza fronzoli, con gli strumenti tra i denti, chitarra, basso e batteria, due donne e un uomo, un tuffo nel passato, tornando indietro agli anni 90 come in una colonna sonora di O.C. Vantano una collaborazione illustre con Mr. J Mascis nel brano “Hate Mail”, un set di una trentina di minuti con canzoni scritte bene e suonate ancora meglio, assolutamente da approfondire.

Orari annunciati e rispettati rigorosamente, quindi headliner sul palco alle 22 circa. Ottima affluenza, un pubblico caldissimo (come la temperatura che si percepisce), tanto da sorprendere gli stessi Jetpacks quasi increduli di avere uno zoccolo così duro di fan che canta tutti i pezzi dall’inizio alla fine.

è il compleanno del, probabilmente, loro disco migliore quel “These Four Walls” uscito appunto dieci anni fa, il loro debutto pubblicato per l’ottima Fat Cat Records, eseguito stasera quasi per intero, al quale si aggiungono brani pescati dai loro tre restanti lavori di una carriera già  lunga, che li ha portati in giro parecchio, senza mai regalare loro, forse, uno status di band che conta ai piani alti, anche se ne avrebbero le qualità , o forse va semplicemente bene così, in una dimensione intima come quella di stasera.

Il concerto è molto coinvolgente, sentito, urlato, sudato dall’inizio alla fine, con un’attitudine hardcore d’altri tempi; come detto sopra, i 200 presenti rispondono con totale coinvolgimento, intonando i pezzi insieme ad Adam Thompson; il caldo si fa sentire, ed è l’unica nota stonata, di una serata di quelle che lasciano il segno nella casella memoria, anche i suoni sono perfetti – sembra un dettaglio scontato, ma non è così – tanto da permettere un ottimo ascolto sia sotto che distanti dal palco.

“It’s Thunder And It’s Lightning”, “Ships With Holes Will Sink”, “Roll Up Your Sleeves”, ma anche e soprattutto “Quiet Little Voices”, uno dei singoli del disco festeggiato, cantata e quasi pogata come non ci fosse un domani.

Un’ora e mezza di concerto senza risparmiarsi, arrivando esausti alla fine, rigorosamente senza bis, con l’invito di bersi tutti una birra ghiacciata al banchetto del merch, tanta roba.