“Heavy Lifter” è il terzo album degli Hovvdy, duo di Austin che ha fatto della gentilezza una piccola tenace bandiera. Charlie Martin e Will Taylor si sono incontrati a una partita di baseball mentre suonavano la batteria in band differenti. Hanno imbracciato le chitarre e iniziato un nuovo percorso fatto di ritmo, semplicità e storie piccole ma familiari.
Tre EP e due dischi (“Taster”, “Cranberry”) ben accolti da critica e pubblico hanno confermato la bontà di un progetto nato senza troppe pretese, con la voglia di scrivere buona musica. Prodotto da Ben Littlejohn, “Heavy Lifter” spazia dal folk di “1999” o “Lifted” al vivace indie pop di “Mr. Lee” e “Keep It Up” ai toni più malinconici di “So Brite” con una batteria appena accennata che accompagna il suono delle chitarre e delle voci di Martin e Taylor. Voci che hanno imparato a trovarsi senza sforzo, creando melodie semplici ma cristalline come nel singolo “Cathedral”.
Dolci insicurezze (“feel tall”) e perline lo-fi come “TellmeI’masinger” (Daniel Johnston approverebbe) convivono bene con il pop di “Ruin (my ride)”. Peccato per qualche passo falso come l’uso eccessivo di effetti vocali in “Tools” e nel finale di “Pixie” che stona nell’economia di un album che ha nel sound del piano tutto analogico di “Watergun” uno dei momenti migliori insieme alla dolcezza in pillole di “Sudbury”.
Un disco per sognare ad occhi aperti il terzo e più maturo lavoro degli Hovvdy. Definizione che sta strettissima a Charlie Martin e Will Taylor ma forse migliore di “pillow core” con cui oltreoceano cercano di etichettare uno stile che di nomi ne ha già abbastanza. Li abbiamo qui oggi ed è piacevole ascoltarli, con le loro calde atmosfere che non si abbandonano mai alla tristezza ma provano a farti sentire meglio.
Credit foto: Johnna Henry