Heil Hitler!

Inizia così “Jojo Rabbit”, con il giovane Jojo esercitandosi a sfoderare il più minaccioso ed energico saluto al fuhrer che il suo corpicciolo di undicenne (o poco meno) gli permette. Ad assistere il bimbo nel bizzarro training il suo amico immaginario, ossia il fuhrer in persona (interpretato dal regista, che ne fornisce una versione istrionica, narcisistica e infantile).
E’ il bizzarro principio di un film straordinario e stravagante, che percorre attraverso la storia di formazione del suo giovane protagonista generi cinematografici ed emozioni, citando tutte le messe in cinema della shoa più audaci ed originali (vengono in mente ad esempio “La vita è bella” e “Inglorious Bastards”).
Pur essendo una girandola di citazioni musicali (i Beatles, Bowie), letterarie (Rilke) e visive (viene in mente la messinscena dalle tinte e le geometrie andersoniane del campo della gioventù hitleriana), il film è a sua volta una delle incursioni cinematografiche più originali nell’atroce pagina di storia dello scorso secolo.

Le scene che penetrano dalla pelle al cuore dello spettatore sono numerose, in egual misura esilaranti (che roba l’ispezione da parte della Gestapo!) e tragiche (Jojo che insegue la farfalla e…, Jojo accecato dalla rabbia). Difatti con “Jojo Rabbit” è facile uscire dalla sala in lacrime, non sai però quante ne hai versate per le risate e quante per l’emozione.

Man mano che Jojo si trasforma (pur difficoltosamente) da wannabe-nazi a salvatore (nonostante tutto) dell’aliena ebrea che gli si era annidata in casa, Waititi depotenzia e distrugge la simbologia nazista con tutti i metodi di cui dispone, con l’ironia, smussandone i lineamenti terribili con fotografia e colori, esaltandone le sfumature più ridicole mediante la sceneggiatura (tratta si da un romanzo, che però il neozelandese ha completamente stravolto).

Fuck off Hitler!

P.S. Cast incredibile, Rockwell al solito incontenibile.