Paul Webb era il Talk Talk sfuggente, bassista contento anche solo di dare una mano (parole sue) al geniale Mark Hollis e a Tim Friese-Greene, formando una sezione ritmica di tutto rispetto insieme al batterista Lee Harris e riuscendo a togliersi qualche soddisfazione anche come autore (ha composto “Another Word” non dimentichiamo).

Archiviata quell’esperienza si è ritagliato una carriera di tutto rispetto: con gli .O.rang prima, con Beth Gibbons in “Out Of Season” poi, alternando il lavoro di produttore ad album solisti registrati senza fretta.

“Drift Code” è uscito l’anno scorso e ora ecco “Clockdust”. Un disco più tradizionale, snello ed essenziale del precedente dove a farla da padrone sono le emozioni e la chitarra. Ogni nota ha l’aria un po’ nostalgica, vissuta e ben suonata. Sorrisi, ricordi, clima casalingo come lo studio dove sono nati questi nove brani. Niente però è lasciato al caso.

L’estrema cura degli arrangiamenti dona intensità  a trentanove minuti che spaziano dal folk classico della dolce “Gold & Tinsel” o quello notturno di “Love Turns Her On” a ritmi più complessi (“Carousel Days” e “Old Flamingo” in odor di Robert Wyatt, il singolo “Jackie’s Room”).

Si scopre e conferma menestrello Paul Webb, modula la voce in armonia senza lasciar sfuggire l’occasione d’inserire qualche sperimentazione sonora (“Rubicon Song”) insieme a momenti più eclettici come la teatrale, esotica “Kinky Living”o l’avventurosa “Man With A Remedy”.

L’intento di Rustin Man è sempre stato quello di far musica che faccia viaggiare e trasporti l’ascoltatore dove non è mai stato prima. Non c’è nulla di veramente innovativo in “Clockdust” ma l’obiettivo può dirsi raggiunto soprattutto grazie a “Night In Evening City”. Sette minuti tra reggae e elettronica in cui torna a primeggiare il basso, una piccola jam session che regala un tocco di spontaneità  in più a un album che arricchisce e completa “Drift Code”.

Credit foto: Lawrence Watson / Domino