Jim Ward ricompone gli Sparta dopo ripensamenti, sonnellini vari, la reunion abbandonata degli At The Drive-In. Ennesimo cambio di formazione con la conferma di uno storico collaboratore come il bassista Matt Miller a cui si aggiungono il batterista Cully Symington, il chitarrista Gabriel Gonzalez e un musicista di classe come David Garza, qui anche nel ruolo di produttore.

“Trust The River” è il primo disco in ben quattordici anni, tanti ne sono passati infatti da “Threes”. Era il 2006 e dopo pochi mesi di tour Ward avrebbe premuto il tasto pausa, anche se ancora oggi sostiene che la band non si è mai veramente sciolta. Gli Sparta insomma non avevano e non hanno ancora completato la propria traiettoria e questi dieci brani sono un modo per ripartire.

La familiare progressione di note che apre una trascinante “Class Blue” inaugura il nuovo corso. Vivaci “Believe” e una “Miracle” che cresce nel finale, grazie al muscolare lavoro di batteria. Decisiva la piccola sfuriata di “Empty Houses” in bilico tra math e post rock con un bel basso rotondo e un ritornello che dal vivo rischia di far faville. Sfrenata, cattiva e psichedelica la già  nota “Graveyard Luck” con Symington di nuovo in gran evidenza come nella veloce “Cat Scream”.

La vera sorpresa è “Spirit Away”: murder ballad à  la Nick Cave scritta con Nicole Fargo apre agli Sparta nuove prospettive sonore, confermate dalla splendida “Dead End Signs” con Ward che siede al pianoforte. Se fosse uscita l’anno scorso sarebbe stata la perfetta canzone di fine decennio, col grintoso crescendo melodico di “Turquoise Dream” a far da contraltare.

I nuovi Sparta sono ancora arrabbiati e intensi ma più maturi, riflessivi e controllati nelle emozioni. Diversi rispetto a “Wiretap Scars” o “Porcelain”, album impossibili da eguagliare. Colpisce l’assenza delle lunghe cavalcate da sei ““ otto minuti (tipo “Tensioning”, “From Now To Never” , “The Most Vicious Crime”, “Lines In The Sand”) con cui si erano cimentati in passato. Nostalgia mitigata dai cinque minuti finali di “No One Can Be Nowhere” costruiti attorno a un Jim Ward che torna ad urlare scaricando decenni di frustrazioni.

“Trust The River” fa la sua distinta figura. Cresce un ascolto dopo l’altro e con i suoi trentatre minuti è l’album più conciso realizzato dalla band di El Paso. Hanno ancora qualcosa da dire gli Sparta e non era certo scontato dopo un’assenza così lunga. Ward ha trovato dei buoni compagni di viaggio. Speriamo riescano a suonarle live queste canzoni visto il periodo difficile in cui il quinto lavoro è uscito.

Credit Foto: Christ Chavez