Quale momento migliore, se non quello attuale, per lasciar emergere dalle tenebre di un mercato discografico ridotto alla paralisi il grido di battaglia dei Samsa Dilemma, che a tre anni dall’esordio discografico con “Wake Up Gregor!!” (Kutmusic, 2017) tornano a cantare l’avvelenamento della quotidianità  e l’abuso spiazzante della normalità  nel loro secondo disco, “Everyday Struggle”?

E già  il titolo scelto sembra calzare a pennello con la tragicità  di una prigionia necessaria, e preludiare ad un ascolto che, fidatevi, può essere un salvacondotto per una libertà  da vivere nello spazio e nella durata di un album a prova di pretenziosi. Sì, perchè se il piglio della band è quello che trova la sua formazione musicale tra i banchi della Punk Revolution e che sembra aver imparato a menadito la lezione della scena underground inglese ed americana, è anche vero che “Everyday Struggle” diventa, nella condizione di sopita attenzione in cui ci ha ridotto l’imprevisto scenario apocalittico, antologia necessaria e catalogo essenziale per ripassare la versatilità  della Rabbia e delle Idee, senza chiudersi in paradigmi consunti e pedisseque ed emulative esercitazioni musicali; le dodici lezioni brevi offerte dai Samsa Dilemma non celano – nè intendono farlo – i riferimenti stilistici ai grandi “pensatori” del genere (scalpita, tra le righe di ogni testo e nelle vibrazioni di ogni colpo inferto a pelli e corde, l’urlo generazionale di Sex Pistols e Clash), ma con la pretesa di poter arrivare ad ogni ascoltatore, spalancando le porte della percezione anche a chi, come me, di punk ne ha ascoltato troppo poco – sigh! – e troppo tempo fa.

E allora diventa impossibile resistere al turbinio emotivo generato dallo slancio rock’n’roll che, in fin dei conti, pervade tutto l’album: è una rabbia vera, quella cantata dai Samsa Dilemma, che non si trasforma in distruzione e fall out, ma piuttosto nella disillusa e quasi ironica consapevolezza raggiunta da chi, attraversata la waste land della propria adolescenza ribelle e arrivato ai piedi del Grande Totem del Capitale, non può far altro che lasciarsi detonare in una fragorosa risata e cominciare a ballare sulle macerie di ciò che resta di ogni utopia vissuta e, ora, passata. Diventa così impossibile non trovarsi a canticchiare, nel tragitto che separa il letto dal frigorifero – in questi giorni di isolamento, è il mio percorso preferito, se non l’unico intrapreso – il possente ritornello di “Non Funziona”, una delle due pregevolissime tracce in italiano del disco, ricca di evidenti riferimenti a quegli ascolti che mi sono più cari: dall’incipit floydiano, al lirismo da manifesto post-punk che ricorda tutta la scena indipendente italiana di fine anni Ottanta, alla declamazione quasi ipnotica tipica di un certo mood seventies (come non pensare, anche solo latentemente, alla “Mela di Odessa” degli Area?).

Ed è così che, ritornando col passo del drugo nelle mie stanze, finisco anche io per sentirmi parte attiva di quella giovane generazione disgustata che porta stampato in faccia, a quarantacinque anni dall’esordio coi Pistols, il sorriso di Rotten, convinto che la sopravvivenza sia diventata la più eroica forma di resistenza, in un mondo che ci vuole vinti o vincitori. Sensazione agrodolce destinata a durare, quanto meno, fino alla fine di “Everyday Struggle”, ascolto che si rivela essere ottima occasione di eversiva evasione dalla routine, gentilmente – ma non troppo – offerta da quei ribelli dei Samsa Dilemma. E non vedo l’ora che ne arrivi una terza, di fatica discografica, confidando in una maggiore attenzione e fiducia riservata alla scrittura italiana, che possa ripartire proprio da “Non Funziona” e dalla afterhoursiana “Destino”, a mio parere traccia più bella dell’album.