Eccolo qui, lo aspettavo. Avevo davvero voglia di ascoltare un disco di tale caratura. Già , signori miei, qui si sfiora il massimo voto possibile, quindi non meravigliatevi di quel numeretto intorno al cerchietto giallo in alto alla vostra destra. Immagino già  i vostri commenti a questo punto. “Wow, capolavoro!” Mah, a parer mio è un disco di una profondità  e intensità  spaziale!! Può anche darsi che in questo drammatico periodo ho sviluppato una sensibilità  nuova, o magari una solo temporaneamente assopita.

Nulla di tutto questo e, quindi, fidatevi del sottoscritto. Seguo Aqualung, aka Matt Hales, sin dal suo esordio omonimo nel lontano 2002 e vi posso assicurare che si tratta di un artista di una bravura eccezionale. Poi, se ci si aggiunge un altro pezzo da novanta come il violinista e arrangiatore torinese Davide Rossi la tavola è bella che imbastita. Rossi, per chi non lo conoscesse, ha lavorato in passato con artisti del calibro di Goldfrapp, Coldplay, The Verve e Royksopp, giusto per citarne alcuni.

Il nome scelto dal duo è stato preso dallo show televisivo britannico Charlie & Lola dedicato ai bambini, dove Soren Lorenson (e non Lorensen) è l’amica immaginaria di Lola. Pare che i figli di Hales, grandissimi fan, abbiano contribuito alla scelta definitiva e Lauren Child, creatore del cartone animato, è stato chiamato a disegnare la copertina dell’album.

Questa spettacolare opera d’arte – realizzata in gran parte tra il Regno Unito e Copenaghen (città  dove vive Rossi) – si dipana in quaranta minuti dove le avvolgenti sonorità  elettroniche unite all’incorporee note di violino si attanagliano alle intensissime dieci tracce.

L’ascolto del disco non risulta impegnativo, almeno fino a quando non si vuole sviscerare fino all’osso la perfezione contenuta negli arrangiamenti, capaci di rendere l’esperienza uditiva un qualcosa di unico e irripetibile.

L’album si apre con “Furrows” nel quale le incalzanti corde di Rossi si inseriscono nella successiva linea di basso fino alla conclusiva iniezione di loop che apre la strada a “Escape Goat”. Un brano psichedelico, quest’ultimo, accompagnato dalla voce sofferta di Hales e nel quale le stringhe di Davide tuonano per risvegliare la quiete.

Ed eccoci a “Bones” che evoca all’opener ma dove ora le sonorità  si fanno più inquietanti e le note di Rossi predominanti. Certo, di diverso tono si vestono le sezioni affidate alla inconfondibile voce di Hales la quale, sebbene viene in rilievo nell’architettura dei brani, non nasconde le varie incursioni del violino rendendo il tutto un epico momento musicale. Tipici esempi sono “Dead Disco” e “Swallow” dove mentre nella prima si ritrova quel sound tipico di “Still Life” e Memory Man” di Aqualung memoria, nella seconda il territorio è quello più pastorale conosciuto con il debutto.

Le parole contenute in “Growing Up Grey in a Black and White World” possono essere considerate la summa della visione di Hales, il quale ha saputo mettere in scena un percorso emozionale caratterizzato dall’amalgama, completa e raffinata, di entrambi i musicisti.

Se l’elettronica e le corde di Rossi possono apparire eccessive nei quasi tre minuti di “Dirty Threes” e di “Walker”, nelle successive “Time Machine” e soprattutto nella closing track “Glow” la perfetta simbiosi della coppia viene in risalto regalando due altissimi momenti di pop catartico difficilmente dimenticabile.

“Lake Constance” è un disco che si avvertiva il bisogno di ascoltare, un album che lascia il segno nel cuore. Un viaggio lungo le incantevoli composizioni ideate da Matt Hales e adornate dagli archi di un maestro come il nostro Davide Rossi.

Pura magia.