Ci giunge come un dono assai gradito e non del tutto inaspettato il nuovo album di Fabio Cinti, uno dei cantautori più interessanti e baciati da autentico talento della generazione “di mezzo”: quella che pur guardando con rispetto (in alcuni casi, devozione) ai grandi del passato ha saputo trovare un linguaggio espressivo nuovo, senza però godere dell’hype dilagante che accomuna tanti nuovi epigoni della scena tricolore odierna.

Fabio Cinti non insegue mode o facili consensi, non fa l’occhialino al pubblico e nei meandri delle sue canzoni non è possibile riscontrare alcuna forma di ammiccamento, ma se ci si concede un ascolto attento (come sarebbe sempre doveroso fare prima di lanciarsi nei giudizi) sarà  impossibile non farsi rapire dalla sua poetica e dalla qualità  dei suoi contenuti.

Accade così in fondo sin dai suoi timidi esordi, in punta di piedi e inevitabilmente acerbi, eppure già  portatori di una qualità  insita che attendeva solo un periodo di rodaggio per emergere pienamente in superficie.

Era arrivato ai giusti riconoscimenti della critica specializzata due anni fa, all’altezza della pubblicazione del rifacimento dell’epocale album “La voce del padrone” di Franco Battiato, laddove era riuscito nel miracolo di rendercelo scevro da sovrastrutture, minimale eppure quasi filologico. Fu quello un adattamento gentile  e un omaggio sincero non solo a un suo nume tutelare ma pure a un artista col quale aveva avuto modo di collaborare attivamente e sperimentare, assorbendo un po’ di quell’aura magica.

Giunto a un bivio, è indubbio come nell’ambiente ci fosse una certa curiosità  e un’attesa positiva nel seguire un percorso che ci si auspicava comprendere un’ ulteriore tappa verso la sua piena affermazione. Adesso che abbiamo ascoltato più volte e assimilato le otto tracce che comprendono “Al blu mi muovo” ci sentiamo autorizzati a dire che Cinti in effetti è uscito arricchito dopo essersi cimentato in un’impresa che poteva rivelarsi un boomerang, accostandosi appunto a uno come Battiato.

Come quel disco, anche questo nuovo lavoro infatti è sfiorato dalla grazia, ce n’eravamo accorti sin dall’ascolto rapito del primo singolo “Giorni tutti uguali”, tra atmosfere rarefatte e una densità  rara a livello emotivo.

“Al blu mi muovo” è un album di consapevolezze, giunte dopo un periodo di straniamento, di dubbi e domande relative innanzitutto alla propria sfera personale, e che Fabio è poi riuscito a non declinare particolarmente tra le pieghe dell’album, preferendo consegnarci direttamente la fase 2, quella dell’avvenuto assestamento interiore.

E’ già  esemplificativo, paradigmatico, il messaggio che sottende la traccia d’apertura, “Tra gli alberi combatto”, sorta di manifesto programmatico in cui l’autore prende le doverose distanze dalla vacuità  e dalla superficialità  della fase della giovinezza, preferendo guardare con ammirazione e serenità  a una vecchiaia ancora in là  dal venire ma quasi auspicata, in quanto portatrice di valori sani e positivi. Musicalmente è un affresco variopinto, tra ficcanti arpeggi acustici e riverberi onirici in sottofondo. Dopo la già  citata “Giorni tutti uguali”, sfuggente ed eterea, arriva la prima vera botta emozionale con l’intima ballata “Da lontano”, quella sì memore della lezione di Battiato, che qui ricorda anche nel raffinato canto. E’ forse la canzone più diretta del disco, seppur plasmata su liriche oltremodo poetiche.

Dopo i tre brani iniziali, siamo già  pervasi dalla sensazione di trovarsi dinnanzi a un lavoro straordinariamente intenso e pregno di significati ma soprattutto di suggestioni.

Una piccola pausa arriva con la più lineare, quasi classicheggiante “Che cosa succede?”, mentre l’asticella della qualità  viene nuovamente alzata con le successive “Amore occasionale” (un’accorata ballata) e soprattutto con “La sventurata rispose” che, al di là  del titolo, felicemente azzardato, è un’autentica canzone d’amore che si prefigura come il vertice del disco nel riuscire a coniugare a un’intuizione cantautorale un arrangiamento cristallino.

“Vieni con me” segue coordinate stilistiche simili ma è più allusiva e giocata sulle immagini, mentre la chiusura in gran bellezza è affidata a “Il grande balzo in avanti” che si distingue dal resto della scaletta per i suoni imperiosi di tastiere a dilatare parole invero ammalianti e che concettualmente si riallacciano all’iniziale “Tra gli alberi combatto”, finendo così per chiudere il cerchio di un album che non ci scorderemo tanto presto.

Sono in tutto otto canzoni egualmente significative e dall’indubbio valore artistico, che ti cullano e ti confortano per la loro intera durata.

Alla fine della corsa si arriva consci di aver sentito qualcosa di ragguardevole, un album davvero denso di spessore che si candida sin da ora a figurare tra i migliori di questo accidentato 2020.

Credit Foto: Piero Martinello