Un disco impegnativo quello di Le voci di Gero, nome in codice di Andrea Aloisi, cantautore milanese con le idee chiare e i piedi ben piantati nella tradizione cantautorale, storica e più recente.
Sin dal primo ascolto, “Il colore che non c’è” si rivela essere raccolta densa e pregna di brani pronti a sussegursi nell’emorragia di parole dell’artista meneghino, assolutamente non incline a piegarsi ai tempi brevi della comunicazione moderna ma ben disposto a sfidare l’ascoltatore alla concentrazione più intensa, necessaria per tenere il passo dei testi di Aloisi; la scrittura è magmatica e ricca di buone immagini, anche se forse talvolta non efficacemente supportate dal giusto veicolo melodico: se le parole trovano dei buoni incastri nell’architettura spericolata della parte testuale – a volte spingendosi un po’ troppo oltre rispetto ai canoni delle sezioni auree contemporanee – certo non è merito dell’impianto melodico, che – a parte qualche eccezione, come la più convincente titletrack – rimane spesso orfano dell’originalità necessaria a farsi giusto mezzo di trasporto per il senso letterario (certamente ricercato) del concept dell’album.
Tanta Politica (e quella con P maiuscola, che dovrebbe appartenere a tutti), tanta rabbia, un sacco di amore e chitarre nel nuovo disco di Aloisi, che un po’ ammicca alle tematiche sociali di De Andrè, Lolli e Guccini – risentendo, qua e là , delle influenze melodiche di Battisti e del portamento vocale del Fossati più recente -, e un po’ flirta sornione con le sonorità di Afterhours, Giorgio Canali, Flavio Giurato e altri sopravvissuti della vera scena indie che fu.
Come dice Andrea in “Posto Naturale”, l’amore non è una presa di posizione, ma “Il colore che non c’è” sì: Aloisi tira fuori i cosiddetti e lo fa con tutta la forza che ha, anche se talvolta inciampando nei risvolti di un disco complesso – che a tratti sembra indomabile chimera, anche per il suo creatore -, e che per questo avrebbe forse necessitato di una maggiore cura negli arrangiamenti, da intendersi come viatico di quel bulimico contenuto di cui l’album abbonda.
Nonostante ciò, ben venga il coraggio di una scrittura onesta, sincera e certamente non scontata: dal melting pot dei suoi padri putativi, Aloisi trae fuori qualcosa di diverso, che respira la tradizione ma sembra essere in volenterosa ricerca di una propria identità .
Insomma, si aspettano conferme di una partenza che non possiamo che che considerare – al di là di qualche neo – ottima prova di volo.