Fiamme avvolgono volti e corpi di quattro ragazzi di Detroit. La lava avvolge il giovane Iggy Pop incatenato nel fuoco, un fiume in piena che brucia ogni cosa in un rogo forse auto-generato dallo stesso Iggy, il quale appare in effetti quasi rilassato nel suo letto di fiamme.
“Fun House” degli Stooges non è solo un album musicale, è una fusione. Una fusione nucleare.
Ricordo che da bambino ero solito perdermi nell’osservare la copertina di “Fun House”, su vinile ovviamente. Cercavo di leggere qualcosa di sfuggito agli altri sul volto di Iggy l’Iguana, mi piaceva vedere i volti fuoriuscire a poco a poco dalle fiamme in quella duplice esposizione fotografica che, sì, ammettiamolo pure, fa molto anni ’70. L’interno del vinile poi mostra una fotografia gigante che ritrae i quattro componenti della band in studio sdraiati sopra un bellissimo tappeto persiano rosso. Tappeto persiano di proprietà di un certo Jim Morrison, compagno di etichetta degli Stooges (entrambi nel roster di Elektra Records) e uno dei primi grandi sostenitori del progetto artistico di Iggy Pop e compagni.
“Fun House” viene rilasciato il 7 luglio del 1970. Il disco precedente, l’omonimo “The Stooges”, era stato accolto con interesse, anche se si tendeva ad osservarlo come si considera un oggetto misterioso e pericoloso. Questo era comprensibile data la forza che sprigionava in uno scenario ancora molto “imbalsamato”. “Fun House” va oltre il confine tracciato dal notevole esordio discografico del 1969, e segna una vera e propria rivoluzione musicale che diventerà una pietra miliare ancora oggi da studiare attentamente. La rivoluzione fu anche sociale, l’anticonformismo di Iggy e compagni era un urlo contro il perbenismo americano e l’ipocrisia della società civile. “Fun House” è il cambiamento del paradigma, è la rottura di ogni schema.
Il disco da una parte riprende il lavoro gigante fatto in precedenza dal sopracitato Jim Morrison con i Doors , da Jimi Hendrix con gli Experience e da John Cale, ma dall’altra si evolve completamente in un terreno inesplorato e da marziani per l’epoca. Il sound è blues ma punk, anzi, sette anni prima dell’esplosione del fenomeno che ha cambiato la musica moderna, “Fun House” suona già post punk. Il valore artistico di questo album è davvero incommensurabile.
Il disco esprime una libertà assoluta. Iggy Pop abbaia, urla, mugugna. E’ incredibile come si riesca a percepire i movimenti, la danza di Iggy, solo ascoltando la sua voce nelle orecchie.
>L’innesto del sax di Steve MacKay in “1970” e “Fun House”, la chitarra graffiante di Ron Asheton, la produzione poderosa di Don Gallucci che suona anche l’organo, tutto sostiene la voce e le parole di Iggy in maniera perfetta.
Il secondo lato dell’album, le ultime 3 tracce, scende giù per la gola della follia. Che poi non è follia come può sembrare, ma creatività , talento, visione avanguardista, il tutto veicolato da una genuina e ancestrale rabbia.
“L.A. Blues” è la distruzione di una canzone, la ascolti e percepisci la materia sonora che si scompone e si scioglie. è un procedimento doloroso.
Che cosa ci lascia un album del genere? “Fun House” è un monolite che ha ispirato e continua a ispirare generazioni di musicisti in tutto il mondo. La sua comunicabilità è senza limiti, è stata la chiave per il futuro e ancora oggi una miniera preziosa impossibile da svuotare del tutto.
“Fun House” compie 50 anni e io sinceramente lo metto ancora sul giradischi quando ho voglia di sentire qualcosa di figo e di esaltante. E’ un album che riesce ad aprire la mente e a stuzzicare la genuina curiosità insita in ogni essere umano.
Per sempre.
Pubblicazione: 7 luglio 1970
Durata: 36:40
Dischi: 1
Tracce: 7
Genere: Glam rock, Garage rock, Hard rock, Proto-punk
Etichetta: Elektra Records
Produttore: Don Gallucci
Registrazione: 10-24 maggio 1970, Elektra Sound Recorders, Los Angeles
Note: Ristampato nel 2005 in versione 2 cd con 14 pezzi aggiuntivi
Lato A
Down on the Street – 3:43
Loose – 3:34
T.V. Eye – 4:17
Dirt – 7:03
Lato B
1970 – 5:15 (conosciuta anche come I Feel Alright)
Fun House – 7:47
L.A. Blues – 4:57