Nati dalle ceneri dei Lifelover, gli svedesi Kall arrivano al traguardo del secondo album con un carico di buone intenzioni e la volontà  di stupire gli ascoltatori. I sei brani di “Brand” sono infatti quanto di più atipico e sorprendente ci si possa aspettare da una band generalmente considerata vicina al depressive black metal.

La musica del sestetto di Stoccolma non sprizza certo d’allegria ma non invita neanche al suicidio; è cupa, o ancor meglio cupissima, ma non per questo soffocante. Questo perchè all’interno dell’opera convivono in armonia sonorità  assolutamente diverse tra loro, dalla cui unione viene a formarsi un crossover di chiara matrice metal ma estremamente atmosferico.

Le composizioni dei Kall, tutte decisamente lunghe, si alternano tra sferzate brutali, gustosi tecnicismi, parentesi di quiete e attimi di raggelante ansia. Consideratele un po’ come dei piccoli viaggi nei turbamenti di sei anime in pena ma curiose, mosse dal desiderio di sperimentare con i suoni del post-rock, della psichedelia, del progressive, del doom e persino della fusion.

I suggestivi interventi del sassofono di Sofia e le complesse linee di basso di Phil A. Cirone conferiscono un tocco di classe jazz a un disco che, seppur intrigante, può risultare un filo noioso per la presenza di numerosissimi passaggi a vuoto.