Venticinque anni fa usciva “The Great Escape” dei Blur, quello che a ragione si può definire, senza timore di smentita, l’album della discordia della band.

Il motivo è presto detto, in quanto è stato nel corso degli anni, non dico rinnegato dagli stessi autori (Damon Albarn in primis), ma quanto meno ridimensionato, e di conseguenza passato in secondo piano nei gusti anche dei più accaniti sostenitori della band.

Oltre a ciò, c’è da dire che a livello di immagine molto ha influito che, dopo aver vinto la tanto strombazzata “Battle of the Bands” con i rivali Oasis, grazie al singolo “Country House” che, pubblicato lo stesso giorno, vendette più di “Roll With It” dei fratelli Gallagher, alla resa dei conti la “guerra” sia stata abbondantemente persa, con l’affermazione su scala mondiale di “(What’s the Story) Morning Glory?”.

Ma a parte queste supposizioni più banalmente si può asserire, promettendo di terminare qui il parallelo con gli Oasis, che “The Great Escape” abbia vissuto sulla propria pelle lo stesso contraccolpo del successo baciato dal precedente “Parklife” (che fece esplodere dopo anni di semina il quartetto di base a Londra) che subiranno poi gli altri all’altezza di “Be Here Now”.

Dopo tanto tempo credo sia opportuno però (parlo, lo ammetto, da amante del gruppo di Albarn, Coxon, James e Rowntree) ristabilire un po’ i meriti, e affermare che, se da una parte è vero che “The Great Escape” risente inevitabilmente del mood british innestato su larga scala proprio nel pieno dei nineties (dal ’95 in poi il britpop visse in pratica il suo apogeo, con l’esplosione di una miriade di gruppi che in modo più o meno velato si rifacevano agli stilemi delle band progenitrici del genere), dall’altra si può allo stesso tempo constatare come si tratti di un album assolutamente di buon livello, ispirato e con pochi punti deboli.

I detrattori sostengono, semplificando, che le quindici tracce ivi inserite altro non siano che meri cloni di canzoni e temi già  abbondantemente proposte ed elaborate, il chè può anche essere accettato fino a un certo punto, parlo però a livello di sonorità , quelle sì debitrici del magnifico pop espresso nel lavoro precedente. Ma per il resto i testi risentono di una fase completamente nuova che ha investito i quattro protagonisti, quella del post-successo, con tutti i benefit ma anche gli strascichi del caso. E questa crisi latente, a livello proprio personale, dei singoli elementi, se non metterà  (almeno per il momento) a repentaglio gli equilibri all’interno del gruppo, finirà  per esplodere in seguito e riversarsi in larga parte sugli album successivi, quelli della presa di coscienza e dell’allontanamento dal britpop alfine di intraprendere altre strade, più rischiose ma anche assolutamente più sincere.

La mia sensazione è che canzoni come il già  citato singolo anticipatore (“Country House”) o assolute perle pop come “Charmless Man”, l’iniziale “Stereotypes”, la surreale e cinica “He Thoughts of Cars”, l’ipnotica “Fade Away” o la romantica ballata “Best Days” non siano concepite alla stregua di lati B di “Parklife” ma che risentano dell’effetto “battere il ferro finchè è caldo”, specie constatando l’ascesa imperiosa nello stesso periodo degli Oasis (ecco, li ho citati ancora!). Di fatto, dopo la pubblicazione dell’album finiranno per sempre i contatti tra i due gruppi, con Albarn desideroso di lasciarsi alle spalle questo felice (almeno sul piano del riscontro commerciale) periodo discografico per battere altri sentieri musicali, in questo modo anticipando la tendenza poi seguita da altri epigoni (un caso su tutti: i Radiohead).

A conclusione di questa retrospettiva, che gli puoi dire a un disco che contiene capolavori come “The Universal” e gli altri brani citati qualche riga più sopra?

A mio avviso rimarrà  per sempre uno dei migliori album dei Blur, anche per tutte le emozioni che ha saputo regalarmi nel corso degli anni (e che ancora affiorano, una volta rimesso il cd nello stereo), e pazienza se appartiene a un periodo storico che il gruppo tende a voler dimenticare: la musica in fondo è patrimonio di tutti coloro che ne possono usufruire.

Riascoltate “The Great Escape” senza alcun pregiudizio o dietrologia e in cambio ne otterrete una delle massime espressioni del britpop targate 1995.

Blur ““ The Great Escape
Data di pubblicazione: 11 settembre 1995
Tracce:  15
Lunghezza:  56:56
Etichetta: Food Records/EMI
Produttore: Stephen Street

Tracklist
1. Stereotypes
2. Country House
3. Best Days
4. Charmless Man
5. Fade Away
6. Top Man
7. The Universal
8. Mr Robinson’s Quango
9. He Thought of Cars
10. It Could Be You
11. Ernold Same
12. Globe Alone
13. Dan Abnormal
14. Entertain Me
15. Yuko and Hiro