Viviamo in un’era nella quale lo sviluppo scientifico e tecnologico si è trasformato nell’arma micidiale con cui le èlite pensano di poter controllare le masse. Questo progresso, di conseguenza, pare più voler garantire l’oppressione dei pochi sui molti, che un vero e proprio raggiungimento del bene comune.

Nell’attesa che ciò possa essere realizzato e che giunga, prima o poi, il giorno della liberazione possiamo perderci nelle atmosfere decadenti e minimali degli Haneke Twins, nelle loro sonorità  oscure e nelle voci baritonali che richiamano la bellezza e l’ingenuità  del passato, di quegli anni Ottanta ai quali la band sembra volersi aggrappare per evadere dalle brutture e dalle mistificazioni dei tempi moderni.

Oggi, infatti, l’Uomo crede di essere al centro dell’Universo, ha scalzato la natura, pensa di poterla piegare al suo volere, alle sue folli leggi di mercato, alle sue teorie economiche, convinto che le sue conoscenze scientifiche gli forniranno la risposta e la soluzione per qualsiasi problema.

Un atteggiamento auto-distruttivo ed incosciente al quale il duo di origine greca (residenti però in Svizzera) risponde con la voce intensa della propria anima; una voce fatta da chitarre disperate e taglienti, di melodie post-punk e new wave, di passaggi crepuscolari e romantici mescolati ad altri che sono profondamente cupi e drammatici, mentre, nel frattempo, gli occhi della mente si perdono nella caotica frenesia di questo nostro presente privo di certezze e di riferimenti ed il cuore vaga in un mondo remoto dal quale giunge la voce suadente di Ian Curtis che fa sì che la fiammella della speranza riprenda forza, luminosità  e coraggio.