La società  di analisi americana Alpha Data ha pubblicato i dati della sua ricerca inerente lo streaming audio. Nell’ultimo anno e mezzo vi sono state circa un milione e seicento mila band e/o artisti che hanno messo a disposizione la propria musica in rete. La gran parte degli ascolti / flussi, circa il 90% del totale, riguarda, però, solamente 16000 band, cioè l’1% di quelle che utilizzano le varie piattaforme di streaming. Ciò significa che il 99% delle band e degli artisti che fanno uso di internet per promuovere la propria creatività , cioè la gran parte di circa un milione e mezzo di progetti musicali, in quest’ultimo anno e mezzo, sono stati praticamente invisibili agli occhi del grande pubblico, al di sotto della misera soglia dei 100 stream.

I dati di Alpha Data sono del tutto concordi con quelli che fornisce la stessa Spotify secondo cui il 90% sei suoi flussi musicali è coperta da soli 43000 artisti/band. Non vi sono dati sul numero di artisti totali presenti su Spotify; l’ultimo dato, aggiornato al 2018, parlava di tre milioni di band. Se prendessimo questo numero come riferimento, significherebbe, in pratica, che l’1,4% delle band presenti sulla piattaforma Spotify raccoglie il 90% degli ascolti totali, ma molto probabilmente la cifra dell’1,4% è una cifra ottimistica in quanto si basa sul fatto che dal 2018 ad oggi il numero di band presenti su Spotify sia rimasto costante, invece che aumentare, per cui l’1% di Alpha Data risulta essere, in definitiva, la cifra più verosimile.

Tenendo presente che il tasso di royalty di Spotify è tra 0,003 e 0,005 dollari per ciascuno streaming, è evidente come vi sia un’enorme sperequazione nei guadagni, tra pochissimi artisti che hanno ricavi quantificabili in milioni di dollari e la restante massa degli invisibili che non riceve assolutamente nulla, ma per i quali, spesso, la presenza stessa su Spotify e piattaforme simili, si trasforma in un costo annuo aggiuntivo che, solo in rarissimi casi, produce i frutti sperati. Sarebbe meglio, allora, rivedere la propria strategia, investire ed affidarsi a piattaforme più eque e prossime ai musicisti, come ad esempio Bandcamp.

Si tenga presente, inoltre, che, secondo un’altra ricerca americana, i mesi di lockdown forzato, a causa del Covid-19, hanno avuto l’effetto pratico di avvantaggiare le piattafome di streaming video (Netflix, Disney, etc.) rispetto a quelle di streaming audio; infatti, oltre all’aumento del tempo a disposizione per guardare film e serie TV, secondo i discografici ed analisti musicali a stelle e strisce, altri tre fattori hanno contribuito alla riduzione dei flussi sonori totali: un utilizzo scarso delle automobili, la presenza massiccia dei bambini in casa ed il clustering, ovvero il fenomeno del raggruppamento, secondo cui persone che normalmente ascoltavano musica separatamente, trovandosi in casa per tante ore, la ascoltano assieme. Questa riduzione dei flussi, però, non ha provocato perdite nei grandi gestori (Spotify, Apple, Amazon, YouTube), perchè il numero di abbonamenti sottoscritti è rimasto praticamente costante, ma ha avuto effetti solo sulle royalty da distribuire agli artisti, andando, ovviamente, a colpire maggiormente quelli più poveri e sconosciuti. Il mondo dello streaming, comunque, non è il peggiore dei mondi possibili; se ci riferiamo, ad esempio, a quello delle radio possiamo constatare che l’1% degli artisti/band riceve il 99,996% dei guadagni: tutta la torta.

L’anno scorso Spotify comunicò la pubblicazione di circa 40000 nuove canzoni ogni giorno, molte delle quali cadono, praticamente, sin da subito, nell’oblio virtuale; è evidente che in un contesto così competitivo, fortemente sbilanciato verso i più ricchi, il tutto si riduca ad una silenziosa e fratricida guerra tra i miserabili. Trovano un senso, allora, anche se sono del tutto prive di considerazione, di rispetto, di stima e di sensibilità  verso la creatività  e la fantasia degli stessi artisti, le parole del CEO di Spotify, Daniel Ek, secondo cui, in pratica, gli artisti sconosciuti, più che nelle proprie capacità , non possono fare altro che sperare nella fantomatica “botta di culo”; per emergere, quindi, debbono uscire da discorsi troppo concettuali come gli album e pubblicare una canzone al giorno.

Nonostante qualcuno si ostini a restare ancorato al mondo di prima, al mondo dei CD, dei download digitali, delle case discografiche o dei bei tempi analogici, queste parole e questi numeri ci fanno comprendere, ci piaccia o no, come cambia questo mondo e come sia facile, per un artista o una band emergente, esser stritolati dagli ingranaggi d’un meccanismo che, in fondo, è stato sempre particolarmente sensibile ed attratto dai numeri con parecchi zeri.