Compie venticinque anni l’album che, d’improvviso e in maniera eclatante, fece deflagrare nelle classifiche di tutto il mondo il gruppo dei No Doubt, prima di allora un insolito ensemble che, con la loro pazza e anarchica miscela di pop, punk e ska, e con i Madness come santini, poteva a fatica varcare i confini delle college radio californiane.
In “Tragic Kingdom”, invece, pubblicato il 10 ottobre 1995, tutte le intuizioni primordiali della band sono portate a pieno compimento, anche grazie a una produzione pulita (affidata al veterano Matthew Wilder) e al lavoro egregio sui suoni ad opera di Paul Palmer, fattori eloquenti per farne emergere le tante qualità .
Prima di allora la storia dei No Doubt, iniziata nella seconda metà degli anni ’80, sembrava già arrivata a un vicolo cieco, tra incidenti di percorso con l’etichetta Interscope Records (che li mise sotto contratto dopo i primi rudimentali provini, salvo poi non muovere un dito per promuoverli a dovere, cosa che portò il gruppo ad autopubblicarsi per il seguito “The Beacon Street Collection”) e tragedie personali, come il suicidio del primo leader John Spence il quale, assieme al vivace tastierista Eric Stefani, aveva fondato il gruppo.
Il tormentato Spence decise di farla finita a soli diciotto anni, ma il gruppo – che attorno a lui si era ampliato presto con l’inserimento di una robusta sezione ritmica e di elementi classici per l’amato suono ska come tromba e trombone – volle comunque andare avanti, omaggiandolo esplicitamente nel primo disco.
La vocalist era così diventata la giovane e appariscente sorella di Eric, vale a dire Gwen Stefani, fondamentale per far ampliare lo spettro musicale della neonata band, comprendendo a quel punto quindi anche ottime venature pop.
L’insuccesso del primo album fu parzialmente compensato dal suo successore che però, giocoforza, essendo totalmente autoprodotto e autofinanziato, non poteva certo farli esplodere su vasta scala. Fu quello un lavoro meno spensierato e più spostato sul punk, condizionato com’era dallo strappo precedente con la casa discografica.
I No Doubt, dopo vari cambi di formazione, si erano assestati ormai a solido quartetto, dove oltre alla citata Gwen figuravano l’eclettico e virtuoso Tony Kanal al basso (con cui la cantante ebbe una lunga e appassionata relazione, terminata a ridosso della realizzazione di “Tragic Kingdom”), il talentuoso chitarrista Tom Dumont, con un rilevante passato heavy metal alle spalle e il funambolico e scatenato Adrian Young alla batteria.
Non era più presente ufficialmente in organico Eric Stefani, orientato a mantenere un’ integrità indipendente e che mal digeriva quindi produttori esterni, e mancava anche una vera sezione fiati, anche se fu fondamentale coinvolgere in fase di registrazione tanti ottimi musicisti, su tutti il trombettista Phil Jordan (già con loro nel disco precedente).
La Interscope non fece all’inizio un vero dietrofront nei loro confronti ma reintegrandoli nel roster li affidò alla loro sottoetichetta Trauma Records, fatto che per i ragazzi – tranne appunto Eric che in ogni caso compare in alcuni pezzi con la sua tastiera e nella celebre e coloratissima foto di copertina – testimoniava la promessa di una certa libertà artistica.
Non so descrivere esattamente cosa sia lo “stato di grazia” e se ci siano sintomi precedenti a farne scorgere il fragoroso avvento, fatto sta che, mettendosi all’ascolto (oggi come allora) delle quattordici tracce che compongono “Tragic Kingdom”, si avverte proprio questo riferendosi al particolare momento dei No Doubt.
Sin dallo scoppiettante singolo apripista “Just a Girl”, che metteva in luce una sempre maggiore consapevolezza compositiva da parte della Stefani – ormai a tutti gli effetti trascinante front-woman del gruppo – appare evidente una maturazione del progetto, ancora per certi versi scanzonato e irriverente, ma molto più compiuto dal punto di vista artistico.
Tesi sostenuta anche rapportandosi al secondo estratto – posto in apertura di scaletta del disco – “Spiderwebs”, dai toni ancora una volta fortemente autobiografici e dal ritmo irresistibile. Entrambi i due singoli portano il testo di Gwen, mentre musicalmente sono stati composti, il primo con Tom Dumont, il secondo con Tony Kanal.
Già sul finire del 1995, forti delle due canzoni citate e della loro altissima diffusione sui media musicali (in particolare MTV contribuì notevolmente a questi successi, passando in heavy rotation entrambi i video), i No Doubt non erano più percepiti solo alla stregua di un gruppo indie di matrice ska, ma sembravano perfetti per inserirsi tra i gusti di un pubblico più generalista.
Nell’album, come accennato in precedenza, è possibile infatti farsi catturare da suoni e melodie che oggi definiremmo catchy: alludo in particolare al pop rock genuino di “Sunday Morning”, alle suggestioni oblique di “Hey You”, all’ossessivo ritmo melodico di “Excuse Me Mr.”, con il suo entusiasmante arrangiamento infarcito di fiati e tastiere, e al rilassato giro reggae di “World Go ‘Round”.
Senza rendersene nemmeno conto, si finisce facilmente a muoversi e ballare col sorriso, quasi questo lavoro avesse un chè di terapeutico.
E terapeutica e catartica deve essere stata per Gwen Stefani (per l’occasione coadiuvata ancora una volta dal fratellone Eric in fase di composizione) una canzone come “Don’t Speak” che esplicitava la fine della sua relazione con il bassista Kanal, con cui rimase tuttavia sempre in ottimi rapporti, tanto che nelle esecuzioni dal vivo è solito vedere i due guardarsi intensamente negli occhi, lanciandosi ancora sguardi di intesa, dettati ormai da un legame resosi saldissimo tra amicizia e rapporti saldamente artistici.
E’ innegabile che gran parte del successo planetario dell’album e dell’ascesa nell’empireo pop dei No Doubt siano dovuti proprio a questa splendida ballata, interpretata magistralmente, con toni accorati, da una Gwen Stefani cui non era a quel punto difficile pronosticare una felice carriera anche come solista – cosa che puntualmente nel nuovo millennio accadde, senza peraltro mettere in discussione gli equilibri del gruppo, con il quale ha continuato a incidere dischi.
A distanza di tanti anni, nonostante all’epoca i No Doubt sembrassero davvero una mosca bianca nel panorama mainstream, compresso tra rimasugli grunge, l’affermazione dell’hip hop e la resurrezione del punk, la storia ci dimostra come invece il loro “Tragic Kingdom” meriti assolutamente di essere ricordato e omaggiato, in quanto i Nostri seppero trovare un proprio linguaggio, autentico, fresco e lontano da mode e tendenze. Con in più una super hit che è entrata a pieno diritto tra i classici immortali degli anni novanta (e non solo).
No Doubt ““ Tragic Kingdom
Data di pubblicazione: 10 ottobre 1995
Tracce: 14
Lunghezza: 59:24
Etichetta: Trauma Records/Interscope Records
Produttore: Matthew Wilder
Tracklist
1. Spiderwebs
2. Excuse Me Mr.
3. Just a Girl
4. Happy Now?
5. Different People
6. Hey You
7. The Climb
8. Sixteen
9. Sunday Morning
10. Don’t Speak
11. You Can Do It
12. World Go ‘Round
13. End It on This
14. Tragic Kingdom