Il loro terzo LP, “Dance On The Blacktop” era uscito poco più di due anni fa, ma i Nothing sono già tornati con il suo successore: registrato durante la quarantena allo Studio Four Recording di Philadelphia insieme al produttore Will Yip (già al lavoro con loro per il sophomore “Tired Of Tomorrow”), il nuovo disco esplora “i temi esistenzialisti dell’isolamento, dell’estinzione e del comportamento umano di fronte alla vasta terra desolata del 2020.”
Il nuovo album segna i dieci anni del gruppo di Philadelphia ed è anche il primo senza il chitarrista e fondatore Brandon Setta, che ha abbandonato la band a inizio 2019 per ragioni personali ed è stato sostituito da Doyle Martin dei Cloakroom: “The Great Dismal” vede inoltre tra i suoi ospiti l’arpista Mary Lattimore, la musicista classica Shelley Weiss e il cantautore e produttore Alex G., anche lui nativo della Pennsylvania.
Il quarto album dei Nothing si apre con “A Fabricated Life” e subito ““ lo dobbiamo ammettere ““ rimaniamo sorpresi: il ritmo rimane basso per tutti i quasi sei minuti dal brano e la voce di Domenic Palermo è quasi sospirata, ma sa costruire una forte carica emotiva. Quello che però ci colpisce di più sono le atmosfere pulite, delicate e incredibilmente toccanti che la loro musica ci sa portare così facilmente (prezioso e sottile anche il lavoro degli archi della Lattimore qui).
Il tono si fa molto più pesante in “April Ha Ha” con le chitarre distorte di Palermo e Martin che non risparmiano violenza, ma è soprattutto il drumming di Kyle Kimball a lasciare un segno pesante: i vocals, decisamente gentili, creano invece un contrasto gradevole con una strumentazione davvero heavy.
Ciò che ci spiazza maggiormente su questo “The Great Dismal”, però, è “Catch A Fade”, una canzone semplice, seppure emozionante che fa intravedere ““ lasciatecelo scrivere ““ inaspettati spiragli luminosi, riflessivi e tranquilli: non mancano le chitarre fuzzy e cattive nella sua seconda parte, ma il risultato è davvero ottimo.
Preziose anche le atmosfere di “In Blueberry Memories”, che continua a cambiare il suo ritmo strumentale, mentre i vocals di Domenic rimangono decisamente emozionanti in un bilancio perfetto tra sogni shoegaze e potenza heavy metal.
E parlando di intensità non possiamo dimenticare di segnalare anche la conclusiva “Ask The Rust”, ma anche qui la sincerità vocale di Palermo riesce a costruire atmosfere di grande valore.
Un disco capace di muoversi tra territori pesanti e suoni più melodici e a tratti anche più leggeri, “The Great Dismal” è un’esperienza soddisfacente e un lavoro ricco di paesaggi sonori che sanno come emozionare l’ascoltatore in profondità sin dal primo ascolto: per i quattro di Philadelphia un altro importante passo verso la giusta direzione.
Photo Credit: Ben Rayner