Tornano i piemontesi Yo Yo Mundi di Paolo Enrico Archetti Maestri, nome storico del panorama musicale nostrano che ha saputo attraversare indenne tre decenni, arricchendo un interessante apparato folk rock (genere che, almeno rimanendo in Italia, hanno contribuito enormemente a codificare) con elementi presi via via da altre forme artistiche con le quali si sono cimentati: dal teatro alle sonorizzazioni cinematografiche, al recupero delle tradizioni, senza far mancare mai un concreto e attivo impegno sociale.

Il tutto si è così condensato in un’originale e personale tipologia di canzone d’autore, filone che essi stessi hanno rinverdito, come accaduto con il recente “Evidenti   tracce di felicità “, giunto nel 2016 nella rosa dei cinque finalisti al Premio Tenco quale miglior album dell’anno.

Già  in precedenza non erano mancati lavori di assoluto pregio, citiamo a mo’ di esempio il concept -album “Munfr࢔, pubblicato nel 2011 e dedicato al Monferrato o, andando a ritroso fino al 2001, quello splendido progetto legato alla sonorizzazione del film “Sciopero!” del regista sovietico S.M. EjzenÅ¡tejn realizzato dal gruppo per il Festival Internazionale di Cinema Muto. Un’esperienza questa che ebbe notevoli riscontri di critica e di pubblico anche in Inghilterra.

Insomma, la band che oltre ad Archetti Maestri alla voce e alle chitarre vede attualmente impegnati Eugenio Merico a batteria e percussioni, Andrea Cavalieri al basso e contrabbasso e Chiara Giacobbe al violino (quest’ultima cura anche gli arrangiamenti d’archi e presta la voce in alcuni brani), non ha più niente da dimostrare, eppure ogni volta è capace di stupire.

Prova ne è questo ultimo album che, come da consuetudine, porta con se’ un po’ di poesia sin dal titolo: “La rivoluzione del battito di ciglia”.

E sono illuminanti a tal proposito le parole del leader (autore di tutti i testi e musiche), a raccontare la genesi e i significati che sottendono a questo disco in cui una parola come “rivoluzione”, forte e piena di energia, viene accostata senza stridere a un atto spontaneo e delicato come il battito di ciglia.

Si parla infatti dell’importanza della collettività , degli scambi fraterni, della condivisione:  “E’ora di riprenderci il senso della vita, di limitare sempre più questi insostenibili condizionamenti imposti esclusivamente nel nome del profitto…. E noi, che crediamo nella forza del gruppo, sappiamo bene che non può esistere altra strada di lotta e di ribellione che non sia il sogno collettivo”.

Oltretutto l’album è stato realizzato grazie anche al crowdfunding, con adesioni giunte copiose e “in un batter di ciglia”, segno inequivocabile di un legame indissolubile costruito negli anni con i loro tanti sostenitori affezionati: quando si dice l’importanza e il valore della collettività  e dell’unione di intenti.

In effetti l’opera pullula di idee e di tanti contributi interessanti disseminati nelle nuove undici canzoni.

Si inizia subito con un brano topico come “Ovunque si nasconda”, davvero caratteristico del loro sound e assolutamente rappresentativo dell’essenza stessa degli Yo Yo, in versi ispirati come “A chi accudisce le piante e gli ideali, alle ali dei gabbiani, alle finte che nascondono il pallone, agli occhi tiepidi dei cani”; nella canzone vengono inoltre citati personaggi chiave per la loro formazione come De Andrè, Fenoglio e Pazienza.

Una partenza indubbiamente fresca, melodica, bagnata dalle classiche sonorità  ariose e raffinate al tempo stesso, ma il viaggio è destinato a non subire brusche frenate, visto che se possibile la successiva “Fosbury”, impreziosita dal flicorno di Giorgio Li Calzi e dalle cornamuse curate da Simone Lombardo, è ancora più emozionante.

La citazione stavolta risiede nel titolo e tira in ballo quel Dick Fosbury che fu a suo modo davvero rivoluzionario nella sua disciplina olimpica di salto in alto, quando per primo “inventò” la particolare tecnica che ormai tutti abbiamo imparato a conoscere.

“Spaesamento” sembra rivolgersi a tutti noi, mai come quest’anno temprati da isolamento forzato e dalla perdita dei nostri principali riferimenti, anche quelli che magari ci sembravano più insignificanti.

Con episodi come “Il paradiso degli acini d’uva” o “VCR” (acronimo che sta per “Valle che Resiste”), invece, i nostri rinsaldano il legame con la propria Terra, tra concretezza e magnifici assaggi poetici. In quest’ultima fa capolino l’inconfondibile voce di uno dei più importanti rebels della canzone italiana: Marino Severini dei Gang, gruppo affine per spirito e istanze ideologiche agli Yo Yo Mundi.

Non mancano certo le canzoni d’amore, dove però non troverete rime facili da “Baci Perugina” ma piuttosto tanta sensibilità  e ispirazione, come ad esempio nella toccante “Bacio sospeso”, dove Archetti Maestri quasi si ritrova a sussurrare “E si presero tra le braccia stringendosi tra gli occhi, faccia a faccia, a piccoli tocchi, si cibarono del desiderio a teneri morsi, in un modo giocoso, ma serio come giovani orsi”, in una melodia dolce e minimale abbellita inoltre dall’ocarina di Gianluca Magnani.

I toni riprendono vigore paradossalmente con “Il silenzio che si sente” che, a dispetto del titolo, vuole dare voce alle categorie di persone maggiormente colpite durante gli orrori della guerra: l’arrangiamento è assolutamente delizioso, con interventi felici del sassofono di Maurizio Camardi e le chitarre di Fabrizio Barale (storico membro degli Yo Yo Mundi) che si intrecciano con quelle dell’ospite Gianluca Vaccarino, nel contesto di una musica delineata dallo splendido violino della Giacobbe.

Se la bilancia del disco pende più verso i brani lenti e d’atmosfera, quali l’ecumenica “Il respiro dell’universo”, la dolce “Ninna nanna del filo” (in cui si assiste al duetto tra Archetti Maestri e la cantante Daniela Tusa) e l’evocativa “Lettera alla notte” dove si odono i cori del bassista Andrea Cavalieri e di sua figlia Alice, senza dimenticare l’apporto vocale di Donatella Figus a conferire ulteriore spessore e solennità , un inatteso e fragoroso colpo di coda avviene in dirittura d’arrivo con la trascinante “Umbratile”.

L’undicesima e ultima traccia, infatti, dopo una premessa dai toni raccolti, esplode letteralmente nella seconda parte tra vocalizzi lontani e trionfo di marimba (a cura di Alan Brunetta del gruppo Lastanzadigreta) e del mirabile, ondivago sax del già  citato Maurizio Camardi.

Gli Yo Yo Mundi ce l’hanno fatta ancora una volta a catalizzare la mia attenzione, non facendomi staccare un solo attimo dall’ascolto del disco per tutta la sua durata.

In tempi di istant songs a effetto, di compilation da Spotify e simili o di artisti che inseguono le mode del momento, loro sono la dimostrazione vivente che l’insieme vale ancora più del singolo e che, in primis, a contare sono soprattutto ora e sempre la qualità  di un’opera e il suo significato più profondo.

Credit foto: Ivano A. Antonazzo