Mettersi all’ascolto dell’interessante “Solo al sole”, nuovo album de l’Albero (nome sotto cui si cela Andrea Mastropietro, già  attivo con i The Vickers), equivale a compiere un affascinante viaggio tra i solchi della miglior musica italiana, quella che attinge a piene mani dagli anni ’60/’70 per giungere intatta fino ai giorni nostri.

E lungo la strada, l’autore raccoglie tante suggestioni, attualizza linguaggi narrativi e musicali, pur non nascondendo l’amore per i grandi cantautori nostrani. Il tutto però filtrandolo con una patina pop che lo rende originale quel tanto da non farlo associare in alcun modo con la rimpolpata scena indie del momento.

L’Albero avverte il desiderio di mettersi in gioco, non rinnegando il periodo trascorso con la sua band (che tante soddisfazioni gli aveva regalato) ma arricchendolo di nuove idee, come detto veicolate da un periodo aureo per la musica italiana, qui rispettato più che emulato.

Le intuizioni erano già  state valide nel passaggio alla lingua italiana ai tempi del suo primo lavoro da solista “Oltre quello che c’è”, pubblicato quattro anni fa (nel mezzo ha realizzato l’Ep “Allegria”); adesso però il Nostro ha voluto staccarsi ancora di più musicalmente da quell’apparato pop rock e già  la title track posta in apertura è un chiaro segnale di rinnovamento e vitalità .

Ci sono diversi richiami infatti, disseminati fra le canzoni, che alludono a un cambiamento, o meglio a nuove consapevolezze nell’incontro/scontro con il mondo esterno, che ti fanno poi fare i conti dapprima con te stesso.

Ariosa e melodica, “Solo al sole” funge indubbiamente da efficace biglietto da visita, conducendoci con la successiva “Dalida” al primo “viaggio nel tempo”, essendo questa canzone debitrice di sonorità  sixties morbide e frizzanti, a stridere un po’ con il malinconico testo, laddove pare quasi pleonastico sottolineare la dedica alla magnifica interprete francese degli anni sessanta (e di conseguenza al mai dimenticato Luigi Tenco, tirato in ballo anche per quel verso “ciao amore ciao” che lo rievoca esplicitamente).

Dicevamo della volontà  di rimettersi in gioco, ripartire, finanche rinascere dalle sconfitte, ed ecco espresse al meglio queste ammissioni nella dinamica e paradigmatica “Cenere”, impreziosita da un arrangiamento gentile che fa molto “anni ’80” (specie quando a metà  del brano fa capolino uno splendido sax che nelle intenzioni dell’autore vuole essere un omaggio al grande James Senese).

Continua il viaggio nella tradizione della musica italiana, e proseguono al contempo le felici citazioni, accostandoci alla traccia seguente, la ballata “Quando viene sera”, introdotta da quelle parole (“Seduta in un caffè…”) che in automatico fanno scattare l’analogia con la coppia d’oro Mogol/Battisti. Al di là  dell’effetto deja vù, occorre però ammettere che la canzone non brilla molto per originalità , mostrando pochi guizzi.

Convince nettamente di più la romantica “Oh mia diletta!”, adagiata su toni soffusi e notturni, che creano un’atmosfera nostalgica e malinconica. Al termine di questo binomio lento e più intimo, l’Albero si concede uno stacco sfizioso con lo strumentale “Noia e illuminazione”, in cui ha modo di sfogare pulsioni sperimentali nel contesto di un album invero piuttosto omogeneo e lineare.

In realtà  è tutta la seconda parte del disco a regalare momenti di positivo stupore, e a essere in fin dei conti più interessante, almeno a livello di arrangiamenti, a iniziare dalla placida e vagamente psichedelica “Volo 573” , che ricorda più il lavoro di una band (molto evocativa qui la chitarra di Francesco Marchi).

Allo stesso modo “Vengo a prenderti” si fa apprezzare per alcune riuscite scelte musicali, tra queste il ricorso a un guizzante sassofono (suonato brillantemente come altrove da Filippo Orefice) che entra gioiosamente in scena a spezzare un ritmo veloce e accattivante.

Siamo quasi in dirittura d’arrivo ma c’è tempo ancora per “Tutto ok” (che sin dal titolo non nasconde i suoi buoni propositi, in uno slancio di ottimismo), la cui struttura un po’ disorganizzata viene rimessa in riga da un inaspettato assolo di chitarra elettrica; il brano dopo una lunga corsa si spegne e confluisce nel secondo strumentale “Il mattino ha l’oro in bocca”, attraversato dall’insolito suono dell’organo, adatto a rendere il tutto più suggestivo ed etereo.

Infine, quando lo scenario a cavallo tra musica leggera e d’autore sembrava “saccheggiato”, l’Albero ci saluta con una canzone che invece sembra guardare alla sua storia musicale, quella costruita faticosamente ma con buon profitto fin qui.

In “Parlami di te”, infatti, che si dispiega lungo sei minuti di atmosfere cangianti, Mastropietro  riesce a condensare tratti della sua penna autoriale in una melodia ficcante e ricchissima, tra echi di britpop già  cari ai The Vickers e il nuovo corso intrapreso, votato a una eleganza formale che ben gli si addice.

Sarà  interessante conoscere i possibili sviluppi della sua poetica e di un determinato percorso artistico, proteso al futuro, pur guardando al passato, sin dai prossimi lavori; in ogni caso questo “Solo al sole” può costituire sicuramente un nuovo punto di partenza per l’Albero.

Credit Foto: Francesco Marchi