4 tracce, poco più di 13 minuti. E’ questo il biglietto da visita, sulla breve gittata, per gli Yard Act.
La band di Leeds capitanata da James Smith è un nome da tenere d’occhio: il loro post-punk si rifà alla vecchia scuola, trasuda anni ’80, ha passo fiero ma non invadente, Smith è abile paroliere a ricamare sulla trama, con andazzo più spoken che melodico (e chiaramente left-oriented), flirtando slacker con lo sprechgesang più che col rock, come la scuola del califfo Mark E Smith impone.
Lo spleen generazionale è evidente, lo storytelling cinico ma spesso da scherzoso commediante, la sezione ritmica semplice quanto contagiosa, le sei corde della chitarra vengono toccate per creare riff angolari o vortici elettrolitici più consoni a tenere le sinapsi attive.
La scena post-punk inglese sta vivendo un momento di forma eccellente: l’avevamo già detto a più riprese, nevvero?