L’inconfondibile acciottolio di piatti e stoviglie che sbattono sulla tavola. Lo sportello di un’automobile che viene chiuso con forza. Il rombo del motore di un’automobile pronta a partire. L’uomo alla guida che, mentre ascolta la radio, canticchia il ritornello di “Rock And Roll All Nite”. Uno spaccato di vita ordinaria che fa da noiosa introduzione a una canzone che, al contrario, rappresenta uno dei momenti più eccitanti e spettacolari di tutta la storia dell’hard rock: la stratosferica “Detroit Rock City”.

Iniziava così “Destroyer”, l’album della definitiva consacrazione per i KISS. Dopo anni e anni di sfortune, fallimenti e piccole o grandi delusioni, nel 1976 la band newyorchese riuscì finalmente ad agguantare quel successo globale che già  aveva avuto modo di pregustare con il sorprendente “Alive!”, uno dei dischi dal vivo più venduti e amati di sempre. Contro ogni previsione, i dirigenti della Casablanca Records vinsero una pericolosissima scommessa che stava per trascinarli nel baratro della bancarotta: trasformare quattro tizi truccati in modo assurdo in superstar tanto rispettate dal pubblico, quanto disprezzate dalla critica.

I pregiudizi e le recensioni terrificanti che le riviste musicali riservarono a “Destroyer” non frenarono però in alcun modo la trionfale cavalcata dei KISS verso i palchi delle arene e degli stadi più grandi del mondo, ovvero gli unici spazi da concerto abbastanza grandi da riuscire a contenere le loro mastodontiche scenografie e l’ego smisurato del cantante/bassista Gene Simmons. A stendergli un tappeto rosso sotto ai piedi fu Bob Ezrin, il produttore noto per le sue collaborazioni con Alice Cooper e Lou Reed che, potendo fare affidamento su un’invidiabile competenza musicale, confezionò per i KISS un sound capace di rappresentarli al meglio.

E forse è proprio per questo motivo che possiamo considerare “Destroyer” il vero capolavoro di Paul Stanley e compagni: in queste dieci tracce c’è tutta l’essenza di un gruppo che si è sempre fatto portavoce della straordinarietà  dell’immenso circo dell’hard rock, mettendone in risalto quegli aspetti grandiosi ed esagerati che per alcuni non sono altro che irritanti cafonate.

Grazie agli arrangiamenti pomposi ma di classe di Ezrin, la musica dei KISS si arricchisce a tal punto da diventare quasi imponente. Il desiderio di divertirsi e far divertire gli ascoltatori avanza ad un livello superiore, dove ogni freno viene abbandonato a favore di un’idea estremamente elettrizzante di rock. Nelle canzoni di “Destroyer”, come suggerisce il titolo stesso, si percepisce chiaramente l’entusiasmo di chi è pronto a distruggere qualsiasi cosa nel nome dell’intrattenimento totale, senza risparmiarsi in spacconerie o scelte eccentriche.

I KISS guidano un treno in piena corsa: lo spaventoso schianto che chiude la già  citata “Detroit Rock City” rimbomba nei secondi iniziali dell’euforica “King Of The Night Time World”, un inno alla vita notturna che cresce d’intensità  al ritmo delle rullate di Peter Criss. Urla di bambini e indistinti rumori assordanti fanno da cornice all’epica “God Of Thunder”: Gene Simmons si cala nei panni di un dio infernale e canta come se volesse sputare fuori i polmoni, ben supportato da un riff meraviglioso che è pura malvagità .

Il coro di voci bianche che esplode nel ritornello di “Great Expectations” è l’apoteosi del kitsch in un brano che è troppo pacchiano anche per gli standard dei KISS. è l’unico colpo a vuoto dell’album, che fortunatamente si riprende subito alla grandissima con tre perle di hard rock festaiolo e chiassone: “Flaming Youth”, un omaggio alla vitalità  incontrollabile dei giovani; “Sweet Pain”, in cui si sprecano i riferimenti ai Rolling Stones; “Shout It Out Loud”, un party anthem che non ha davvero nulla da invidiare alla celeberrima “Rock And Roll All Nite”.

D’improvviso, la festa si interrompe e i toni si fanno malinconici. Peter Criss abbandona la batteria, afferra il microfono e ci regala una piano ballad magniloquente e orchestrale: si tratta di “Beth”, uno dei singoli di maggior successo nella storia dei KISS. Il testo, che racconta il tormento di una rockstar in tour cui manca tanto la sua dolce metà , ci strappa una lacrimuccia; ma è solo una questione di pochi minuti, perchè con la reboante “Do You Love Me” si risale con prepotenza a bordo del carrozzone della celebrità .

La domanda che Paul Stanley rivolge a una ragazza che lo idolatra è semplice: tu ami me o quello che mi circonda, ovvero le limousine, le carte di credito, gli aerei privati, gli hotel di lusso e gli abiti alla moda? è il terribile peso della fama: “Destroyer” si chiude con un quesito che suona come la richiesta di aiuto di un uomo che non vuole vivere in eterno nascondendosi dietro una maschera. Chissà  se Kurt Cobain diede questa stessa interpretazione al pezzo, quando decise di farne una cover con i Nirvana.

Data di pubblicazione: 15 marzo 1976
Tracce: 10
Lunghezza: 34:28
Etichetta: Casablanca
Produttore: Bob Ezrin

Tracklist:
1. Detroit Rock City
2. King Of The Night Time World
3. God Of Thunder
4. Great Expectations
5. Flaming Youth
6. Sweet Pain
7. Shout It Out Loud
8. Beth
9. Do You Love Me
10. Rock And Roll Party