L’album prima di quell’altro album, l’ultimo album coi Revolution, l’album in bianco e nero, il re  nudo, dentro, totalmente dentro il suo periodo di folgorazione, l’abum più ibrido, una vera parata degli eventi frenetici e quasi precipitosi di quei frangenti in cui Prince poteva permettersi qualsiasi cosa.

Questo è “Parade”, la somma dei momenti musicali nel mezzo della deviazione psichedelica di “Around the world in a day” (qui di fondo in cose come “Christopher’s Tracy Parade” e “I wonder U”), il tentativo di sbaragliare nel cinema con “Under the Cherry Moon” usando anche arrangiamenti orchestrali (canzone omonima e resto delle cosette jazzy come “Do U lie?” e “Venus de Milo”), più il groove, in quegli anni sempre più spudoratamente consapevole, quel mix di fisicità  allo stato bravo, sessualmente grezza, che riprende tutta una tradizione nera che parte da James Brown e che si esplicita in canzoni devastanti, mai così coinvolgenti.

Qui in questi suoni ancora così vividi c’è la sensazione dell’urgenza dell’espressività  viscerale di un folletto armato di ritmo e feeling a tratti irresistibile, urlato, con tutto il corollario di falsetti e piroette, con una coralità  a volte trascinante con musicisti che virano come una una big band (“Mountains”), con in aggiunta il funk minimale, quella cosa lì che canzoni come “New Position” e “Kiss” incorporano, inarrivabili, per semplicità  e potenza, in pochi accordi e ancor meno strumenti la musica afroamericana che traduce e si permette di parlare un linguaggio universale, moderno già  allora, inebriando intere generazioni   di un ritmo irrefrenabile trasversale, sulle spalle di un minuto trentenne di Minneapolis.

Con “Kiss”, è noto, Prince sfonda definitivamente a livello mondiale, diventa l’icona nera funk alternativa, quasi   in competizione ai tempi col successo di Michael Jackson, almeno negli States, rappresenta l’anima più “sporca” della musica popolare di colore, riuscendo a esplicitare in un modo più accattivante ed originale, virato verso il pop attraverso l’uso sapiente dell’elettronica e soprattutto di un istintivo talento per melodie semplici (“Anotherloverholeyourhead”), decenni di sottobosco black in qualcosa di più maturo, che però non perde in nessun modo di energia e appartenenza.

Ma in tutto questo immaginario che oggettivamente la musica e il personaggio Prince suscitavano, c’è   la magia di un artista nel pieno dell’ispirazione, che si materializza in quest’album certo di transizione, ma quasi necessario, per cogliere al volo i frammenti, a volte scomposti e disomogenei, di pezzi di   progetti fatti da tante cose, messi dentro un contenitore unico cosicchè ognuno poi possa trovare anche la sua sezione preferita.

D’alta parte, si sa che Prince aveva questa mania del registrare tutto e subito, non tanto e solo per dedizione alla testimonianza, ma probabilmente perchè era un artista cosciente che nel presente c’è tutto quello che serve e va sempre colto, in ogni momento c’è un flusso di qualche cosa di misterioso che necessita di essere fissato, per poi in una seconda fase riprenderlo e trarne tesoro, quel tesoro che poi il seguito ci ha dimostrato, in termini di evoluzione musicale, sfociare in quel meraviglioso mondo immaginifico e parallelo che è sostanzialmente “Sign of the times”   e che qui in “Parade” inizia a trovare le sue fondamenta.

Pubblicazione: 31 marzo 1986
Durata: 40:57
Tracce: 12
Tipo album: Colonna sonora
Genere: Neopsichedelia Funk rock
Etichetta: Pasley Park, Warner Bros.
Produttore: Prince
Registrazione: aprile-dicembre 1986

Tracce:
1. Christopher Tracy’s Parade
2. New Position
3. I Wonder U
4. Under the Cherry Moon
5. Girls & Boys
6. Life Can Be So Nice
7. Venus de Milo
8. Mountains
9. Do U Lie?
10. Kiss
11. Anotherloverholenyohead
11. Sometimes It Snows in April