Scrivere dei Fear Factory è sempre un piacere, perchè è una band che ho amato, pur con alti e bassi. Una storia travagliata la loro, fatta di un trittico iniziale di album pazzesco, poi problemi di formazioni, ritorni e contro-ritorni, album altalenanti e ora un nuovo disco in uscita che vede ancora la presenza di Burton C.Bell, ma sappiamo bene che il cantante ha già  gettato la spugna da un pezzo, sbattendo violentemente la porta. Che peccato.

Qui la macchina del tempo musicale ci riporta al 2001, quando arrivò il momento di dare un seguito a quello che considero l’apice artistico della band (so che molti storceranno il naso preferendo “Demanufacture” e lo capisco). “Obsolete” era, a mio avviso, la magistrale prova di come la band sapesse plasmare il suo mondo tecnologico, pulsioni industrial, potenza devastante e aperture melodiche alla perfezione. Quando tocchi l’apice è inevitabile la parabola discendente? Non sempre è così, ci mancherebbe altro, ma per la truppa guidata da Dinone Cazares “Digimortal” segnò un evidentissimo calo qualitativo.

I motivi forse sono da ricercare nella necessita della Roadrunner di avere un prodotto più snello e, perchè no, più fruibile da parte di tutte le giovani leve assetate di nu-metal. I Fear Factory sembrano adeguarsi all’andazzo e sfornano un quarto disco impeccabile dal punto di vista della produzione che perde però l’impatto cibernetico malato e deragliante che conoscevamo: curato, asciutto, pulito, con chitarre sicuramente variegate ma mai particolarmente graffianti, una batteria che sembra finta, come se uscisse da un synth, Burton che leviga il suo cantato, abusati inseriti rumoristici da tastierine da film di fantascienza e un basso che non pare nemmeno più quello dei bei tempi. Tutto fin troppo asettico (non uso la parola mainstream, ma mi viene in mente) verrebbe da dire, mentre il songwriting raramente spicca per qualcosa di veramente memorabile (seppur, è giusto dirlo, non si vada mai neanche sotto a un particolare livello di guardia), impegnato a seguire, come mai accaduto prima, un sentiero già  battuto da altri e non il contrario. Parole come Crossover (compare B-Real dei Cypress Hill), la già  citata Nu-Metal, Korn si fanno largo nelle svariate recensioni di un album che non farà  breccia nel cuore dei fan del quartetto di Los Angeles.

Il filo conduttore resta sempre l’icontro/scontro tra uomo e macchina, ma la mancanza di mordente sonoro sembra aver coinvolto pure i testi, forse mai così poco incisivi.

Lo dicevo sopra, se il disco non brilla come i precedenti album non è nemmeno tutto da prendere e buttare, sebbene le cose migliori siano nella prima parte della tracklist. Il battito, come un cuore pulsante, di “Lynchpin” e Burton che urla “Can’t Take Me Apart!!!” prima di aprirsi al ritornellone melodico, la title track, la sincera rabbia propulsiva di “What Will Become?” lasciano un piccolo segno, ma non così profondo come ci si aspetterebbe dai Fear Factory.

All’epoca, giovincello com’ero, mi ascoltai parecchio il disco. Ora, riprendendolo in mano per l’articolo, mi accorgo che lo digerisco a fatica. 6,5 di stima, non di più.

Pubblicazione: 24 aprile 2001
Durata: 43:13
Dischi: 1
Tracce: 11
Genere: Industrial metal, Alternative metal
Etichetta: Roadrunner Records
Produttore: Fear Factory, Rhys Fulber

Tracklist:
1. What Will Become?
2. Damaged
3. Digimortal
4. No-One
5. Linchpin
6. Invisible Wounds (Dark Bodies)
7. Acres Of Skin
8. Back The F*** Up
9. Byte Block
10. Hurt Conveyor
11. (Memory Imprints) Never End