Diventa sempre difficile per una band, dopo aver piazzato un ottimo esordio, centrare anche l’obiettivo del sophomore: ecco, nessun problema al riguardo per il quintetto dei Whispering Sons che riesce non solo a soddisfare le aspettative, ma aggiunge addirittura un tassello in più al classico post-punk marchio di fabbrica della compagine belga.

Il gruppo – composto da Fenne Kuppens (voce), Kobe Lijnen (chitarra), Tuur Vandeborne (basso), Sander Pelsmaekers (batteria) e Sander Hermans (tastiere) – proveniente dalla città  universitaria di Leuven, nella regione fiamminga del Belgio, si è ritirato nelle Ardenne durante l’estate scorsa dove, con la produzione di Dijf Sanders, ha registrato al Gam Studio questo “Several Others”, che porta con sè il solido background maturato con le esperienze on stage, soprattutto dopo l’importante tournèe nel Regno Unito ed in Europa al fianco degli Editors.

Evoluzione e consapevolezza dei propri mezzi sono le parole chiave per circoscrivere il lavoro dei Whispering Sons, i quali non si sono affatto adagiati sul richiamato esordio “Image” del 2018, album dalle ottime trame avvolte in un sound comunque ancora acerbo, ma hanno virato sulla ricercatezza degli arrangiamenti questa volta votati ad un mood che, pur seguendo il comune “filo rosso”, riesce a coinvolgere maggiormente per il suo variegato incedere senza perdere di vista, ripeto, le oscure e inquietanti coordinate della primordiale “new musick”.

Brani come l’angosciante “Screens”, che ricama tonalità  prese dagli amici Editors, ovvero l’incalzante electrodark della bellissima “(I Leave You) Wounded”, che fa il verso ai maestri Depeche Mode o, ancora, le nostalgiche note di piano di “Aftermath”, mostrano le doti davvero sopraffine del collettivo band belga il quale, quando si tratta invece di graffiare, ritorna sulle onde sonore di Ian Curtis e soci come nell’efficace opener “Dead End”, ma anche in “Vision” e nella psichedelica “Flood” e, soprattutto, nelle convulsioni di “Heat”, che rappresenta uno dei momenti migliori del disco.

Certamente, l’aspetto caratterizzante dei Whispering Sons è focalizzato sull’incredibile voce baritonale della frontwoman Fenne Kuppens la quale è assolutamente messa a fuoco, anche negli episodi più esacerbanti, come nella catalitica “Surface”, ottima traccia estratta come singolo, ovvero nello scorbutico stridio della traccia di chiusura “Surgery”, entrambe che mettono in luce anche le indubbie virtù del chitarrista Kobe Lijnen, laddove nella bieca e magnetica “Satantango”, si viene travolti in un sentiero tipicamente gothic, nel punto più alto dell’album.

I Whispering Sons  sono bravi davvero e, sebbene non aggiungono nulla di particolarmente innovativo al genere, risultano convincenti, riconoscibili ed il loro secondo album non solo è di caratura elevata ma diventa un ascolto necessario!

Photo credit: Daniil Lavrovski