La parola più adatta a descrivere la seconda serata del TOdays Festival è “libertà “. Libertà  d’espressione, libertà  di ritrovarsi insieme a cantare a squarciagola sotto un palco dopo anni di astinenza, (desiderio di) libertà  di pogare, e così via. Vediamo un po’ com’è andata.

I HATE MY VILLAGE
Si eleva uno strillo. Il verso di quella che sembra essere una scimmia, per essere precisi. Ne seguono tanti altri, come un richiamo (o un invito, se vogliamo) a prestare attenzione, ad avvertire che sta per accadere qualcosa di molto speciale. Ha inizio un vero e proprio rituale, il pubblico si perde nelle danze più sfrenate mentre la band si lascia andare a una forza più grande di tutti i presenti, come una cascata che avvolge e travolge. Come Fabio Rondanini ci aveva anticipato nella nostra intervista (volete rinfrescarvi la memoria?), il gibbone protagonista del loro ultimo EP (“Gibbone”, per l’appunto) è finalmente libero, dopo essersi trovato per mesi e mesi all’interno di una gabbia (non solo fisica, anzi). è stato un rituale di liberazione, di pura energia, in cui artisti e pubblico sono stati coinvolti con la stessa intensità . Se lo stesso Rondanini ci ha fornito cinque motivi per vedere gli I Hate My Village dal vivo, noi possiamo dirvi che ce ne sono decisamente molti di più.

BLACK MIDI

Inutile girarci intorno, quello dei black midi era uno degli spettacoli più attesi del TOdays di quest’anno: non a caso sono accorse persone da tutta Italia (e non solo) per vederli, trattandosi anche dell’unica data italiana (almeno finora, la speranza è l’ultima a morire). Come previsto, sono stati di una potenza allucinante, hanno portato in auge quella sana sensazione di sentire tutto il corpo vibrare di musica, dalla pelle ai polmoni. Peccato per l’impossibilità  di pogare, pareva un crimine non poterlo fare in un’occasione del genere; ciononostante, dire che ci siamo sentiti onorati e privilegiati di vedere i black midi all’azione, in tutta la loro magnifica intensità . è un peccato che non abbiano potuto esibirsi per più di un’ora, perchè vederli causa seriamente dipendenza.

TEHO TEARDO SUONA LA JETà‰E

Quest’è stata un’esperienza piuttosto… Particolare, non c’è che dire. Parliamo non a caso proprio di esperienza più che di concerto, perchè quello a cui abbiamo assistito è stato uno spettacolo audiovisivo (con musica eseguita dal vivo, sia chiaro) che voleva incitare lo spettatore-ascoltatore a una riflessione sul tempo e su sè stesso. Il titolo dell’opera di cui stiamo parlando è il corto “A Man Falling” (riprodotto in anteprima esclusiva per il festival), liberamente ispirato al lavoro quasi lynchiano di Chris Marker “La jetèe”; senza rivelare troppo, diciamo che è un corto carico di emotività  e significati profondi, che parte da un semplice ricordo d’infanzia e sfocia in un’ambientazione postatomica. La visione (insieme alla rimusicazione) di “La jetèe” non solo è stata interessante, ma anche tremendamente necessaria, visto quanto facilmente le opere d’arte, soprattutto se vecchie, tendono a perdersi nel tempo ed essere dimenticate. Per tirare le somme della serata, si potrebbe dire che “A Man Falling” offre molti spunti di discussione (e di riflessione interiore) piuttosto intriganti e profondi, assolutamente, soprattutto per l’aspetto poetico del corto di Teardo,  che si distacca da quello più teatrale e drammatico di Marker. Forse, però, qualcuno avrebbe dovuto pensare che non molti riescono a partorire pensieri particolarmente intellettuali a notte inoltrata, specie dopo aver ballato e bevuto per ore ““ anzi…