Ad una decina di giorni dal tanto atteso “Kid A Mnesia” ““ che vede raccolti due grandi dischi d’inizio millennio, più un terzo di registrazioni inedite ““ abbiamo deciso (così, per puro ghiribizzo) di ripercorrere una via succursale del “gruppo di nicchia meno di nicchia” della storia della scena musicale alternativa.

Perchè ci piace così tanto parlare di B-side?
Beh, spesso i fan seriali instaurano un particolare rapporto affettivo con questi.
I b-side diventano preziosi dal momento in cui ti ci imbatti quando meno te l’aspetti; che sia comprando un CD soltanto per il singolo – per poi sobbalzare proprio laddove non si aveva posto la minima aspettativa – o che sia, come per destino, durante l’ascolto della discografia di una band in modalità  casuale su fruizione liquida.
Talvolta, spuntano a rasserenare proprio quando si teme di aver già  scavato sino al fondo del barile circa un artista di cui non si è ancora abbastanza sazi.
Sarà  che i B-side ci piacciono tanto anche perchè godono della tendenza di svelare il fulcro essenziale di una band; trattandosi, spesso, di canzoni nate in modo genuino e completate senza indugiarci troppo sopra.
Nasce, così, un rapporto intimo con questi brani. In qualche modo, li senti tuoi al punto in cui sembrino scritti proprio per te.
Inoltre, risultano un valido espediente per distinguere il fan hardcore dall’ascoltatore perlopiù avventizio.

Giusto per prevenire il rischio di ritrovarmi i forconi sotto casa, vorrei solo specificare che in questo articolo ho deciso di attenermi rigorosamente al concetto di b-side, escludendo così dei brani di nicchia che hanno comunque avuto una pubblicazione come singoli (ad esempio, “The Daily Mail”) o degli outtake rilasciate nelle riedizioni (ad esempio, “Lift”).

Bonus Track – Talk Show Host
1996, da “Street Spirit (Fade Out)”

Si annovera tra i b-side più noti e apprezzati; anche grazie alla sua comparsa (sotto il mix di Nellee Hooper) nella colonna sonora del film “Romeo and Juliet” (1996).

Trae notevole ispirazione dalle sonorità  trip hop del disco “Dummy” del 1994.
Più Portishead, che Radiohead.

You want me
Well, come on and break the door down

10. Lull
1997, da “Karma Police”

Una calma ipnotica dicembrina plasmata col corredo peculiare di “Ok Computer“.
Crogiolatevi pure tra arpeggi che nevicano teneramente (“Let Down”) e carezzevoli armonie dello xilofono (“No Surprises”).

I’m sorry that I lost control

9. Bishop’s Robes
1996, da “Street Spirit (Fade Out)”

Quando Thom Yorke era un giovane studente dell’Abingdon College, si ritrovò un preside per cui sviluppò una certa repulsione. Si tratta di un tale che il nostro caro descrive così: «Un ometto insignificante, assetato di potere, folle e cattivo. ». Come se non bastasse, questo signorotto avrebbe anche vietato alla band la possibilità  di provare negli spazi della scuola.

Musicalmente, ha una certa affinità  con la meravigliosa “Lucky”. Non a caso, pare che la futura traccia di “Ok Computer” sia nata sulla scia di “Bishop’s Robes”, in quanto prodotta nella stessa sessione di registrazione del brano in questione.

Children taught to kill
To tear themselves to bits on playing fields.

8. Stupid Car
1992, da “Drill EP”

Era il 1987 quando Thom Yorke (con la sua compagna) fu coinvolto in un incidente stradale, che gli arrecò una sorta di fobia nei confronti delle automobili.
Il disagio sarà  trattato più volte: in “Killer Cars” (b-side di “High and Drive/Planet Telex”) e in “Ok Computer” ““ con “Airbag” e la figura dell’auto che si afferma prepotentemente nel concept distopico del disco (vedasi la cover di “No Surprises” e il video di “Karma Police”). L’automobile qui figurerebbe come l’allegoria di un mondo nel quale le vite umane diventano più inermi e vincolate dalla tecnologia; della quale si ha un controllo, soltanto, relativo.

Con “Stupid Car”, ci ritroviamo dinanzi una meraviglia minimale che riflette un leggiadro senso di rilassatezza. Basta una voce candida, accompagnata dal suono di una chitarra elettrica quasi cristallina, ed il gioco è fatto.
100% Thom Yorke.

And I failed in life
‘Cause you crushed me with your hands

7. How Can You Be Sure?
1995, da “Fake Plastic Trees”

Una delicata e piacevole ballata acustica dall’aroma sentimentale scritta ai tempi degli On A Friday; tant’è che il suo primo arrangiamento si può ascoltare in una cassetta risalente al 1990 (versione reperibile sul web).
Una delle preferite del bassista Colin Greenwood, che l’avrebbe tanto desiderata in “The Bends“.

La prima (fino ad ora, anche l’unica) canzone dei Radiohead ad esser stata impreziosita da un canto femminile. Stiamo parlando di Dianne Swann, voce dei The Julie Dolphin; una band dimenticata dal cielo che fece da gruppo spalla ai Radiohead nel 1994.

Con “India Rubber” ““ anch’essa di un certo pregio (esclusa a malincuore da questa classifica) ““ contribuisce a rendere il disco di “Fake Plastic Trees” un vero e proprio gioiellino.

If you walk out the door
Will I see you again?

6. Cuttooth
2001, da “Knives Out”

Nel 1999 – mentre il pezzo si trovava ancora in fase embrionale – Ed O’Brien ne parlava sul suo blog portando in evidenza un certo richiamo ai Neu!, celebri pilastri del krautrock.

è probabile che “Cuttooth” non riuscì ad entrare di un soffio nella tracklist definitiva di “Amnesiac”, in quanto risultò incisa tra le prime copie promozionali del disco. A suggerirlo c’è un piccolo aneddoto: fu trasmessa prima della sua release in una radio francese che la annunciò come “Hunting Bears”. Intanto, questa nuova canzone trapelò nei blog dei fan e la notizia colse di sorpresa la band ai microfoni di una radio – dato che sarebbe dovuta apparire in una pubblicazione, in quel momento, ancora inedita.

Un flusso dalla marea altalenante – caratterizzato da un calderone sonoro dalla cui sgorgano disparati suoni – impreziosito da un’impeccabile ed energetica interpretazione vocale di Thom.
Una sana sperimentazione art rock, priva di simmetrie, alla cui non manca quella verve sensazionale di cui godono altri brani accomodati in prima classe.

A little bit of knowledge will destroy you

5. Fog
2001, da “Knives Out”

Eseguita per la prima volta dal vivo nel 2000, col titolo di “Alligators in New York Sewers”.

Una sperimentazione ambient pervasa da vibrazioni spettrali e atmosfere nebbiose (nebbiose, appunto).
Il pregevole amalgama, che vede incontrare le sonorità  elettroniche con quelle rock, si conferma una specialità  di casa; dal beat di stampo glitch pop – che ricorda il picchiettare della pioggia su un tettuccio in alluminio – alla chitarra sgangherata sfoggiata da Johnny Greenwood (e da chi sennò?).

Degna di lode è l’esibizione dal vivo del brano: “Fog (Again)” (pubblicata nel singolo di “Go To Sleep”). Si tratta di un arrangiamento più diretto ed emozionale, messo su semplicemente da voce e piano; un po’ alla “How I Made My Milions” maniera.
Ah, e per la cronaca, ben presto avremo occasione di ascoltare persino una terza: “Fog (Again Again Version)”.

There’s a little child running around this house
And he never leaves, he will never leave

4. 4 Minute Warning
2007, da “In Rainbows (Disk 2)”

Scritta durante le sessioni di “Kid A“. Ai tempi, ebbe un primo nome temporaneo – piazzato lì per lì – “Neil Young *9”; poi venne rinominata “Bombers”.

L’avvertimento di quattro minuti era un sistema di allerta pubblico, concepito dal governo inglese ai tempi della Guerra Fredda. Quattro minuti erano, infatti, il tempo che avrebbe impiegato un missile nucleare partito dalla Russia per raggiungere il territorio britannico dal momento della sua identificazione.
Si direbbe che il brano sia nato dalle sensibilità  causate dal terrore mediatico inglese che ci fu intorno a questa situazione di tensione.

Suonata una manciata di volte in tour nel 2006, nella quale viene esibito un arrangiamento (assolutamente da recuperare) più prorompente e onirico rispetto all’atmosfera desolata della versione registrata.

This is just a nightmare
Soon I’m gonna wake up

3. Gagging Order
2003, da “Go To Sleep”

Si dice che il pezzo parli di una volta in cui Thom Yorke incappò in uno scenario piuttosto desolante; un senzatetto in fin di vita nel mezzo della strada che si spense lentamente tra nell’indifferenza dei passanti.
Invece, è probabile che sia inerente ad un’affermazione piuttosto curiosa che Thom fece un’intervista; dichiarò di aver ricevuto l’ordine di tacere riguardo un’informazione di cui venne a conoscenza. Col termine “gagging order”, di fatto, s’intende un divieto ufficiale sul diffondere determinate informazioni – un vero e proprio “imbavagliamento” dall’alto.

Le probabilità  che questa prelibatezza acustica, dal caloroso fingerpicking, abbia di riuscire a pizzicare le corde più profonde del vostro cuore sono tremendamente alte.
Preparate i fazzoletti.

I know what you’re thinking
But I’m not your property
No matter what you say

2. Worrywort
2001, da “Knives Out”

Eh, già . Ancora una volta abbiamo dovuto rispolverare la seconda facciata del disco di “Knives Out” per tirar fuori le più intriganti gemme nascoste della band dell’Oxfordshire.

Si tratta di un brano puramente amnesiac-esco che nel disco avrebbe potuto, a mani basse, ben figurare.
Il gruppo, sbizzarrendosi col sintetizzatore, tira fuori un dadaismo elettronico dalla sonorità  melmosa.
Il fascino quasi etereo del brano deve particolarmente alle armonie riecheggiate dell’arpa e dal testo di delicata poesia; parole confortanti che spazzano via le ragnatele e districano il groviglio delle menti tormentate.

Probabilmente, il titolo della canzone avrebbe dovuto essere “Worrywart”; un termine colloquiale in voga negli Stati Uniti, con cui si indica una persona che finisce spesso col preoccuparsi più del dovuto.

Un gioiellino che, a due decadi di distanza, suona ancora fresco.

It’s such a beautiful day

1. Last Flowers
2007, da “In Rainbows (Disk 2)”

Le prime esibizioni pubbliche della canzone risalgono ai soundcheck del tour di “Ok Computer” del 1997; suonata soltanto da Thom con l’acustica.
“Last Flowers” finì quasi per essere accolta in quello che poi si rivelò uno degli album musicali più influenti della storia. A detta della band, la versione che prepararono ai tempi di “Ok Computer” risentiva parecchio dell’influenza di David Bowie.
Purtroppo, non convinse quasi nessuno e venne scartata. Proprio per questo, il bassista Colin Greenwood portò il muso lungo ai colleghi per un bel po’.

Si dovrà  attendere un decennio intero per poter vedere, finalmente, il brano riesumato.
L’arrangiamento si baserà  su un piano in tonalità  minore che sfodera una melodia intrisa di pathos struggente.
Il finale, invece, risulterà  un po’ come un fulgido raggio che filtra dalla finestra all’affievolirsi della tempesta: sbocciano delle vibrazioni benigne che faranno in modo di indicare la strada ai persi d’animo e donare a questi una nuova speranza.

Ma cosa possono mai saperne quelli che continuano a bollarli come “lagne”?

And I can’t face the evening straight
And you can’t offer me escape

Credit Foto: John Spinks