Devo ammettere che scrivere una recensione non mi era mai sembrato così semplice come in questo caso. Certo ““ direte voi ““ stiamo pur sempre parlando di uno dei fenomeni pop più interessanti e validi degli ultimi dieci anni, e ciò è indubbiamente vero, ma posso assicurarvi che c’è davvero molto, molto di più: tra poco ““ confidando nella vostra pazienza ““ vedremo perchè. Venerdì, quindi, è uscito l’attesissimo “Blue Banisters”, settimo album in studio di Lana Del Rey, a distanza di soli sette mesi dal precedente “Chemstrails Over The Country Club“, il quale ci aveva consegnato una buona prova (l’ennesima) della cantautrice a stelle e strisce. Come ho appena detto: buona, certamente, ma quanto buona? Okay, “Born To Die” ed “Ultraviolence” si erano già  abbondantemente accaparrati un bel posto riservato nell’Olimpo della sua discografia più o meno da qui fino all’eternità , ma quel titolo in particolare riuscì “almeno” a toccare i livelli (piuttosto alti) di “Norman Fucking Rockwell!“? Personalmente, non direi, ma la mia valutazione si ribalta improvvisamente quando mi ritrovo ad analizzare questo nuovo “Blue Banisters”, con il quale, invece, sembra giocarsela a pieno titolo e senza troppe difficoltà .

Perfettamente in linea con quella progressiva evoluzione artistica intrapresa dalla cantautrice newyorkese, il nuovo capitolo firmato Lana Del Rey è un percorso mistico, quasi pastorale nell’atmosfera, guidato da quella morbida ed inconfondibile voce ““ con qualche imperfezione ad attestarne più che mai l’autenticità  ““ che dal 2008 ad oggi, ahimè, non accenna a smettere di toccare le nostre tormentate anime. Un percorso coerente e deciso che, in 60 minuti di durata complessiva, non sembra perdere colpi nemmeno per un attimo: neanche un interludio strumentale in salsa trap totalmente inaspettato è capace di scalfirlo, anzi, ottiene proprio l’effetto opposto. Per farla breve, non esistono momenti down e anche se ci fossero, questi, sarebbero ampiamente giustificati da brani come “Beautiful”, “Violets for Roses”, “Thunder”, “Cherry Blossom” ed in particolare da “Dealer”, miglior brano dell’intera composizione ad umile detta di chi scrive: il ritornello di Miles Kane – quanto di più vicino al divino sia possibile – si combina perfettamente con un’inaspettata ed altrettanto divina interpretazione vocale della Del Rey, entrando di diritto nella lista dei suoi migliori brani di sempre. E no, non credo proprio di star esagerando. Insomma: “Blue Banisters” sembra imporsi con molta più personalità  del disco precedente, risultando, inoltre, come più immediato nella ricezione e con brani ben più memorabili a comporlo.

Tutto questo, se non altro, mi autorizza a dire che se un giorno quest’ultimo lavoro dovesse finire nella vostra personale top 3/top 5 dei migliori dischi in assoluto della cantante, non mi sentirei per nulla contrariato, anzi. Perchè? Perchè questo disco ““ che piaccia o meno ““ sembra suonare proprio nella maniera in cui dovrebbe e ci mette nella condizione di vedere il mondo dalla sua personale angolazione di riferimento: ovvero da quelle vivide ringhiere blu di una classica casa americana, baciata delicatamente dal sole di un caldo mattino di maggio.