Quando si affronta Johnny Marr bisogna essere sempre attenti perchè su di lui pesa come un macigno l’essere stato il brillante chitarrista degli Smiths.

Un chitarrista che ha segnato un epoca e che a soli ventitre anni ha abbandonato una cult band adorata all’epoca e che gradualmente negli anni ha raccolto una marea di nuovi fan, a volte molto più appassionati di quelli che lo hanno seguito album dopo album, creandosi un seguito fedele che ancora oggi lo osanna.

In realtà  la sua carriera post Smiths non è stata mai all’altezza del suo giovanile passato, finendo spesso assorbito dalle grandi personalità  degli artisti con cui ha scelto di collaborare, Bernard Sumner e Matt Johnson su tutti, o scegliendo di essere spesso semplicemente l’ospite in una serie infinita di collaborazioni, nel quale troviamo un momento veramente interessante solo con “We Were Dead Before the Ship Even Sank” dei Modest Mouse.

Il risultato di tutte queste esperienze è che Johnny Marr una suo vero e proprio percorso artistico non lo ha mai trovato, cosa che succede spesso ai singoli componenti di una grande band, lavorando continuamente ma iniziando una vera carriera da solista solo dal 2013.

Oggi torna con questo progetto che dovrebbe concludersi nel 2022 dopo la pubblicazione di ben quattro EP, un progetto particolare che parte con questi primi quattro brani.

Per sua stessa ammissione queste sedici canzoni, che saranno il risultato finale di queste pubblicazioni, sono la summa artistica del suo percorso e in effetti già  dall’inizio con “Spirit Power & Soul” ritroviamo qualcosa degli Electronic ma depurati dall’influenza anestetizzante di Bernard Sumner, sintetizzatori e gelida sezione ritmica ma con la chitarra che ha un peso maggiore, un brano che funziona per quanto mi rimane quel senso algido che provo sempre ascoltando le sue canzoni.

Il secondo pezzo è “Receiver” e si muove sempre nella stessa scia del precedente, ancora con la chitarra in evidenza in questo caso a tratti più aggressiva, dal punto di vista del cantato nulla di particolare ma il pezzo è musicalmente gradevole.

Gli preferisco sicuramente “All These Days” che Marr interpreta con la giusta dose di drammaticità  cantando con il giusto pathos, interpretazione tra le sue più riuscite.
Chiude questo primo Ep “Ariel” finalmente con una linea di basso interessante ma nel complesso il brano più debole.

Resto ancora con l’amaro in bocca, con la consapevolezza di dovermi scrollare di dosso l’importanza della sua figura non posso non considerare che se fosse il lavoro di un signor nessuno non mi avrebbe colpito particolarmente, in alcuni passaggi interessante ma in fondo poco coinvolgente.

Marr resta un grande chitarrista ma non è un frontman e neanche un interprete, resto dell’idea che tra i tanti vestiti che avrebbero potuto cucirgli addosso quello del solista non lo indossi particolarmente bene, forse è ancora in tempo per essere parte di un progetto, magari con una buona sezione ritmica, capace di evidenziare le sue qualità .

Credi Foto: Andy Cotterill