Guarda le posizioni dalla 1^ alla 25^ de I MIGLIORI 50 DISCHI DEL 2021

#50) THE BLACK
Ars Metal Mentis
[Black Widow]
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Tale lavoro lo conferma ancora una volta come uno dei massimi esponenti del doom metal, continuatore della grande tradizione che va dai Black Sabbath e Black Widow passando per i Trouble, i Saint Vitus e i Pentagram
( Corrado Frasca ).

#49) DOT ALLISON
Heart-Shaped Scars
[SA Recordings]
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Dopo un silenzio durato la bellezza di dodici anni, nel 2021 è tornata a farsi sentire Dot Allison. Nel quarto album  solista della cantautrice edimburghese, in passato voce del trio trip hop One Dove, si rincorrono suoni e immagini che evocano il trascorrere delle stagioni, la ciclicità  della vita, la fertilità , i paesaggi idilliaci della Scozia e la flora caratteristica dell’estremo nord britannico. Folk etereo, fragile e dal gusto celtico per un disco dai toni così morbidi e leggeri da riuscire a sfiorare nuovi vertici di delicatezza. Le melodie celestiali di brani come “Long Exposure”, “Can You Hear Nature Sing?”, “Cue The Tears”, “Goodbye” e “One Love” sanno realmente toccare le corde del cuore. Le mie descrizioni sono patetiche ma la musica genuina e “naturale” di Dot Allison, fortunatamente, non lo è in alcun modo.
( Giuseppe Loris Ienco )

#48) LUMP
Animal
[Partisan Records]
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I Lump mi sono sempre piaciuti, l’accoppiata Laura Marling e Mike Lindsay è micidiale e in continua crescita, con “Animal” si avvicinano maggiormente ad un elettro-pop allontanandosi dallo loro attitudine folk, il risultato è un album bellissimo anche sul lato melodico con brani riusciti e capaci di affascinare anche un pubblico mainstream.
La strada che stanno percorrendo è perfetta, la qualità  degli autori cristallina.
( Fabrizio Siliquini)

#47) VENERUS
Magica Musica
[Asian Fake/Sony]
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è chiaro che la musica, in ogni sua sfaccettatura e dimensione, è il fulcro di questo spettacolare e sorprendente debut album. Musica suonata per l’occasione, è giusto specificarlo, da numerosi musicisti quali Vittorio Gervasi al sassofono, Danny Bronzini alle chitarre, Enrico Gabrielli ai fiati, Danilo Mazzone all’Hammond ed Ethel Colella all’arpa.
“Magica Musica” è un prezioso prodotto corale che riesce a dare vita alla visione di Venerus, artista dal talento incredibile e dalle intuizioni brillanti, capace di conquistarsi il posto che merita in una scena musicale decisamente bisognosa d’aria fresca.
( Marta Veri )

#46) THE ANTLERS
Green To Gold
[Transgressive Records]
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“Gold To Green” è un’albescente letargia che ““ con i suoi leggiadri rintocchi bucolici ““ designa placidi ruscelli, crepuscoli di mezza stagione e campi di frumento accarezzati dal sole.
Un lento ambient folk/country, adagiato su un’amaca legata tra due aceri purpurei, dalle melodie rugiadose e mai brusche; ma, comunque, trasudate da un certo brio amarognolo.
( Federico Tricarico )

#45) QUICKSAND
Distant Populations
[Epitaph]
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è un urlo di rabbia contro l’iperconnessione e i suoi nefasti effetti sulle relazioni umane quello che viene lanciato dai  Quicksand negli undici brani di “Distant Populations”. Il disco segna un parziale dietrofront rispetto ai recenti tentativi di allontanarsi dal campo del post-hardcore duro e puro: Walter Schreifels e compagni sembrano aver riscoperto l’antico furore di “Slip” e “Manic Compression”, macinando riff su riff da gustarsi al massimo del volume. L’album ha mille sfumature ma la parola d’ordine è sempre e soltanto una: impatto. Da non perdere “Katakana” e “EMDR” – per non parlare poi della fenomenale “Inversion”, che è la mia canzone preferita del 2021.
( Giuseppe Loris Ienco )

#44) NATION OF LANGUAGE
A Way Forward
[PIAS]
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Fuori dalla prigione dell’anima

Un piccolo, grande, fragile gioiello a base di synth e pulsazioni che assecondano le tribolazioni del cuore.
( Luca Dustman Morello )

#43) LONDON GRAMMAR
Californian Soil
[Ministry of Sound Recordings Ltd.]
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Non sbagliano un colpo, quei tre di Nottingham. Terzo album e li troviamo ancora sul podio dei dischi dell’anno. Sale definitivamente in cattedra Hannah Reid e la sua voce intrisa di Florence Welsch ed il giusto phisique du role. Sicuramente è l’album più commerciale del gruppo, dove “How Does It Feel” sa di Daft Punk e “Californian Soil” ha il gusto dei Massive Attack. Me le storie complicate che la Reid ci narra, tra amori disillusi, violenze domestiche e terre promesse e mai mantenute si adagiano perfettamente sul pattern sonoro di un trip-hop contemporaneo ed evoluto fino a strizzare l’occhiolino alla dance.
Imprescindibile.
( Bruno De Rivo )

#42) WOLF ALICE
Blue Weekend
[Dirty Hit]
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Già  la copertina dell’album è emblematica: la band ad una fermata, che sembra aspettare il passaggio del treno giusto, quello del successo. In effetti non c’è bisogno. Siamo ormai all’apice, abbiamo un gruppo con un sound maturo e carismatico. La capacità  di Ellie Rowsell, voce e anima dei londinesi Wolf Alice, di variare dal post-punk al dream pop lascia davvero senza fiato. Dapprima si socchiudono gli occhi per “Lipstick On The Glass”, poi si spalancano per “Smile”. Tra queste tracce si percepiscono essenze di Kate Bush, di Cocteu Twins, di Lana Del Rey e di Florence + The Machine. Di quei profumi che rimangono sulla pelle anche dopo la doccia.
Essenziali.
( Bruno De Rivo )

#41) SILK SONIC
An Evening With Silk Sonic
[Aftermath Entertainment and Atlantic Recording Corporation]

Medaglia d’argento per il joint album dell’anno: il progetto Silk Sonic è un semplice modo per toccare con mano il divino grazie ad un’autentica deadly combination. Da una parte un hitmaker infallibile come Bruno Mars; dall’altra un artista versatile ed estremamente talentuoso come Anderson. Paak: quale può essere il risultato? Conoscete la risposta. Derivativo? Sissignore e un giorno qualcuno mi spiegherà  perchè ciò debba costituire una nota di demerito a priori. è l’arte stessa ad essere derivativa: e questa, signore e signori, – se permettete – è arte allo stato puro.
( Ciro Arena )

#40) CRISTINA DONA’
deSidera
[Fenix Music]
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La nuova creatura un po’ selvatica di Cristina Donà  è nata grazie al crowdfunding, un disco eterogeneo che viaggia tra echi di elettronica preistorica e tanta grinta, arrangiamenti scarni e armonie cristalline, rabbia e malinconia. Incredibile il lavoro fatto nei testi mai così diretti e allusivi, circondati spesso da melodie dissonanti o minimali che rendono “deSidera” un ascolto complesso ma infinitamente soddisfacente.
( Valentina Natale )

#39) ICEAGE
Seek Shelter
[Mexican Summer]
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Un disco questo dei danesi Iceage che, mixando influenze apparentemente lontane eppure vicinissime, di chiaro stampo anglosassone, si rivela dai primissimi ascolti un un prodotto sonoro compatto e appassionato come davvero poche altre uscite degli ultimi tempi. Una perfetta colonna sonora per distruggere e rimettere insieme, per guardare le città  crollare e, se non fondare un nuovo ordine, almeno riuscire a passare tra quelle macerie indenni, sorprendendosi ancora una volta di essere rimasti vivi.
( Luca “Dustam” Morello )

#38) TURNSTILE
Glow On
[Roadrunner]

Veramente una bellissima sorpresa questo terzo album targato Turnstile. Un lavoro fresco e innovativo che rimescola le carte sul tavolo dell’hardcore punk inteso nella sua forma più fluida, mutante e contaminata. Le sfumature pop donano a queste quindici tracce un dinamismo e un’elasticità  ai limiti del prodigioso. Sul piatto i sapori elettronici di “Mystery”, le ombre post-punk di “Underwater Boi” e i ritmi latini a metà  strada tra pista da ballo e headbanging di “Blackout” e “Don’t Play”. Preziosa l’ospitata di Blood Orange, che a tratti infonde all’opera un sorprendente respiro R&B.
( Giuseppe Loris Ienco )

#37) HAND HABITS
Fun House
[Saddle Creek]
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Dopo l’ottimo “Placeholder”, avevo grandi aspettative per il terzo disco di Hand Habits. “Fun House” non le ha realizzate tutte, ma continua a rivelarmi nuove sfumature ad ogni ascolto. Sono canzoni scritte e registrate in un anno di lockdown e isolamento sociale, dove Meg Duffy continua a rivolgere lo sguardo soprattutto verso l’interno ma, con l’aiuto di Sasami alla produzione, allarga la palette ben oltre la sua comfort zone. In un percorso che mi ricorda quello di Sufjan Stevens, sposa indie folk e synth pop, e colora testi chirurgicamente drammatici in arrangiamenti luminosi.
( Francesco Negri )

#36) CURTIS HARDING
If Words Were Flowers
[ANTI]
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“If Words Were Flowers” è uno dei dischi più riusciti nel 2021, sicuramente il più riuscito a Curtis Harding. Un album che risulta facile, ma complesso, leggero, ma profondo, ballabile, ma introspettivo.
Caratteristiche proprie di un album completo che produce un’esperienza d’ascolto incredibilmente totalizzante.
( Federico Guarducci )

#35) ILLUMINATI HOTTIES
Let Me Do One More
[Hopeless]
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Dal party in piscina alla solitudine del proprio appartamento, quando si è in vena di amare confessioni sussurrate, dal dolce tramonto visto sulla spiaggia con Buck Meek alla voglia di gridare a pieni polmoni per una liberazione catartica, passando per una canzone quasi d’amore: le mille facce musicali di Sarah emergono con vitalità , energia e prepotenza. Quello che si nota in modo importante è che, nel turbinio di sentimenti ed emozioni, la Tudzin non perde mai la bussola e gestisce questo mare rigoglioso con controllo assoluto e un gusto melodico micidiale.
( Riccardo Cavrioli )

#34) RYAN ADAMS
Big Colors
[Pax Am]
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Sin dal poker iniziale rimaniamo abbagliati ma anche l’ascolto integrale dell’album, dispiace risultare ripetitivo, ci colpisce per il sorprendente standard qualitativo delle canzoni che Ryan scrive, in una guisa talmente naturale che immagino l’invidia di molti storytellers o songwriters, piegati invece nello sforzo di indovinare melodie o sfornare idee compositive che al nostro paiono scaturire copiose in apparente comfort.
( Corrado Frasca )

#33) SWEET TRIP
A Tiny House, In Secret Speeches, Polar Equals
[Darla Records]
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Sconosciuti ai più, scovai gli Sweet Trip per caso su internet (come il 99% dei disgraziati che li conoscono). Me ne innamorai in pochi istanti. Non mi sarei però mai aspettato di recensire il loro ritorno sulle scene, questo colosso di oltre un’ora che impacchetta e perfeziona il loro peculiare shoegaze elettronico in un ambito perfino più addomesticato e fruibile. Dispersivo e supponente, ma efficacissimo come teaser alla loro opera, lo consiglio a chiunque abbia voglia di stendersi su un divano e lasciarsi cullare in un appassionato e”… dolce viaggio.
( And Back Crash )

#32) KINGS OF CONVENIENCE
Peace or Love
[EMI]
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Cosa è successo? Il duo più amato, utilizzato nelle pubblicità  e più retrò è tornato dopo 9 anni di silenzio (se non consideriamo ovviamente i lavori solisti) per un album che sì, ci serviva. L’avessimo avuto durante il lockdown sarebbe stato ottimo così da passare i pomeriggi al sole con chitarrine hipster annesse. Ce lo siamo beccati quest’anno e va bene così. La prima posizione va a loro per il loro attesissimo ritorno, per il loro attesissimo lavoro e per i loro bellissimi tratti nordici.
( Gianluca Quadri )

#31) BLANKENBERGE
Everything
[Autoproduzione]
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Non c’è un momento che non dia i brividi. Chitarre sature che ci avvolgono disegnano percorsi incantevoli che la ritmica tratteggia e consolida con andamenti vivaci e sostenuti che danno un senso continuo e costante di movimento. Il disco stesso vive, respira e si muove: un cuore pulsante che batte forte, che ci rimbomba nelle orecchie mentre il rumore ci sovrasta e la melodia compare, dolce come una carezza, necessaria come il sorriso della persona amata, toccante come l’abbraccio che aspettavamo per cancellare il dolore.
( Riccardo Cavrioli )

#30) SLEAFORD MODS
Spare Ribs
[Rough Trade Recods]
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Questo nostro mondo si è risvegliato molto più piccolo e arrabbiato, molto più solo e malato, molto più cattivo e diffidente, molto più impaurito e soggiogato da quelle oscure forze ““ conservatrici e capitaliste ““ che spazzano via qualsiasi idea di equità , di legalità , di correttezza, di gentilezza umana, nel nome della Brexit, della crisi sanitaria, della ripresa economica, dell’isolamento forzato. Ricordi quando sorseggiavamo, tranquillamente, una pinta di birra, mentre in sottofondo, da una radio gracchiante, qualcuno cantava che Londra stava chiamando? Forse era solamente un sogno, perchè, ormai, nessuno più chiama nessuno; siamo troppo impegnati a stare nascosti, a dare la colpa a qualcun altro e a sputare veleno su chiunque ci dicono sia il nostro nuovo, terribile e temibile nemico.
( Michele Brigange Sanseverino )

#29) KANYE WEST
Donda
[Def Jam]
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La medaglia d’oro va a lui ““ al genio per eccellenza ““: all’allora Kanye West ed all’attuale Ye. Prima che rovinasse tutto con una deluxe edition, prima che aggiungesse brani bonus, prima che rivoluzionasse totalmente la tracklist, Donda era senz’altro il disco dell’anno. Il miracolo divino per eccellenza, capace di condensare tutta la musica del genio di Chicago ““ con le varie periodizzazioni ““ in un unico grande ed ambizioso progetto. Allora io voglio ricordarlo così, come il capolavoro che ho ascoltato per la prima volta senza alcun preavviso. E ricordarmi che anche quest’anno ““ musicalmente parlando ““ la storia è stata fatta e nella maniera più affascinante possibile. In barba a chi credeva che la “vera musica” fosse finita negli anni ’70.
( Ciro Arena )

#28) GOD IS AN ASTRONAUT
Ghost Tapes #10
[Napalm Records]
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Le vette e le depressioni dei mari lunari, la vista di quel pianeta verde ed azzurro, che sembra quasi essere a portata di mano, le nubi maligne che lo avvolgono e che assumono i contorni di un oscuro e minaccioso presagio, le inquietudini spaventose di quelle vite sepolte, la solitudine cosmica che dissolve i nostri sentimenti e i nostri pensieri, mentre quei tre aerei a reazione sembrano pronti a sganciare il loro contenuto di odio sull’inerme e impotente pianeta.
( Michele Brigante Sanseverino )

#27) ROYAL BLOOD
Typhoons
[Warner]
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Sì, proprio così: il momento più atteso dell’anno è finalmente arrivato e noi – senza perdere troppo tempo – cominciamo subito con “Typhoons” dei famigerati Royal Blood, un lavoro piuttosto scorrevole e con i cosiddetti “attributi” che tiene alta l’asticella del duo britannico di Brighton. I flirt con l’elettronica sono evidenti e per questo coinvolgenti, così come la loro personale miscela musicale che attira la nostra attenzione dal non lontano 2014. Qualcuno ha parlato di comfort zone? Probabile, ma il colpo centra in pieno il bersaglio. E, alle volte, non è proprio questo quello che cerchiamo?
( Ciro Arena )

#26) MOIN
Moot!
[AD93]

Ossessivo ed ipnotico, “Moot!” alimenta un deisiderio di felice rassegnazione, un’immersione progressiva dentro il ritmo, il suono moderno in loop e field recordings di un trio di sperimentatori pandemici, che puntano gli occhi e gli strumenti, chitarre e batteria, al centro di tutto, senza freni, senza soste.
( Gianni Merlin )

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Credit grafica: Luca Morello (Scismatica)