Risale esattamente a vent’anni fa il debutto discografico di Damien Rice, talentuoso cantautore irlandese dallo stile peculiare e in possesso di una buona sensibilità  musicale, che traspariva sin dalle prime note di quei brani finiti poi in “O”.

Non si può dire che Internet nel 2002 fosse alla prim’ora, ma di certo lo streaming – che tutto offre e tutto risucchia – non era ovviamente così diffuso e non mancavano casi in cui un artista riusciva ad arrivare al grande pubblico partendo proprio dal basso.

Così fece il buon Rice, introverso e riottoso verso il music business, che preferì non procedere il suo percorso con i Juniper (da lui fondati) all’alba di un approdo in una major per dedicarsi alla musica in un modo tutto suo, ritrovando in primis se stesso dopo un viaggio “fisico” che è divenuto poi essenziale per riscoprire una propria interiorità  e fare luce su come dovesse proseguire la carriera, ancora in fase embrionale.

Il Nostro fece capolino anche in Italia, soggiornando a lungo in Toscana, suonando spesso e volentieri come busker (non si contarono al riguardo negli anni gli “avvistamenti” o gli aneddoti, una volta diventato famoso a livello internazionale) e se ne tornò in Patria corroborato da tanta bellezza e da una raggiunta consapevolezza.

Non aveva bisogno di orpelli per abbellire canzoni che già  scarne e minimali vantavano una loro grazia autentica capace di irradiare atmosfere delle più svariate, fermo restando quel tratto malinconico perdurante, levigato da arrangiamenti sinuosi che mettevano in luce più la profondità  e lo spessore della proposta che non un senso opprimente di mestizia e dolore.

Già , perchè a un primo ascolto sarebbe stato facile (ma altresì fuorviante) scambiare per funerei quegli episodi in cui il cantato dimesso di Rice si sposava con sonorità  misurate e grevi al tempo stesso, ma in realtà  nelle canzoni che presto andrò a citarvi c’è tutto fuorchè quell’intento.

Sono infatti brani autentici, pieni di forza e intensità , e ricchi di spunti che, pur partoriti da cenni autobiografici si diramano in slanci universali, perfetti a connotare tante situazioni di vita e relativi stati d’animo dell’essere umano; prova tangibile è il fatto che praticamente tutte le dieci tracce di questo meraviglioso album d’esordio sono state utilizzate con successo in film, serie tv, spot, ovunque si volesse centrare o magari enfatizzare una particolare emozione (pensiamo solamente a quanto furono calzanti, fino a diventare caratterizzanti, due pezzi come “The Blower’s Daughter” e “Cold Water” in “Closer”, pellicola di gran successo uscita nei cinema di tutto il mondo nel 2004).

Fu però un “dare e avere” il rapporto della musica di Damien Rice col mondo del cinema e della televisione, perchè se è vero che canzoni come le due già  citate o le altrettanto magnifiche “Cannonball” o “Delicate” (di recente scelta per accompagnare una scena cruciale come la morte di Nairobi nella serie “La casa di carta”) hanno arricchito certe narrazioni, in egual modo anche la carriera dell’irlandese ne ha beneficiato.

Quello di “O” fu un successo globale, ampiamente meritato, ma graduale e conquistato “sul campo”, frutto – ebbene sì, vent’anni era ancora possibile – pure del buon sano passaparola; d’altronde parve chiaro da subito che le composizioni qui raccolte non erano inclini alla moda del momento e destinate a scomparire presto: al contrario, avrebbero superato alla grande la prova del tempo.

Quando Damien Rice scrisse queste dieci canzoni era artista emergente ma già  maturo – aveva quasi trent’anni in fondo e un’esperienza pregressa come detto con i Juniper – e ciò si evince in maniera netta mettendosi all’ascolto del disco.

“Delicate” è memorabile apripista, con i suoi arpeggi chitarristici, l’incedere dolce e solenne del violoncello (fondamentale in tal senso l’apporto di Vyvienne Long che con lo strumento colorerà  gran parte dei pezzi, conferendone eleganza e spessore) e un crescendo lirico di prim’ordine.

Non è da meno la successiva “Volcano”, inquieta e misteriosa ma dotata di indubbio fascino grazie anche all’intrecciarsi naturale delle voci: è qui che fa capolino per la prima volta il canto suggestivo ed etereo della giovane Lisa Hannigan, degna contraltare di Rice, sorta di anima gemella la cui efficace presenza sarà  tutt’altro che estemporanea.

Si viene così alla celebre “The Blower’s Daughter”, che anche per i meno avvezzi alle questioni musicali suonerà  di certo familiare, essendo stata “setacciata” in tanti contesti, sempre mostrandosi all’altezza della situazione: è un brano stupendo con un testo struggente che si mescola magnificamente con la musica, portando a un climax di tensione ed emotività  che non può che commuovere l’ascoltatore.

“Cannonball” prosegue sulla falsariga, denotando una melodia più vivace e immediata: sarebbe potuta diventare una hit pop con un arrangiamento più catchy ma Rice non si snatura e realizza un gioiellino d’alta scuola, puntando ancora una volta sulla componente emozionale.

Non siamo ancora a metà  dell’opera ma ci si potrebbe sbilanciare già  definendo quest’esordio un vero capolavoro, ma ci sono altri sei pezzi e parrebbe difficile proseguire con un simile livello qualitativo.

Ci prova “Older Chests” e occorre dire che la sua parte la svolge egregiamente, accantonando magari i picchi di intensità  per navigare in acque più placide, non rinunciando tuttavia a far scuotere le pieghe dell’anima; siamo dalle parti di Nick Drake, paragone che ho volutamente evitato per rendere giustizia al talento innato del titolare del progetto in questione ma che non pare stridere al cospetto di un brano simile, intimista e lunare (nel finale compare ancora una volta la voce angelica della Hannigan).

La seconda parte del disco si apre con “Amie”, accorata nei versi e nelle note placide del Nostro, e rivestita di archi maestosi e classicheggianti, e prosegue con la soffusa e tremendamente affascinante “Cheers Darlin'”, una confessione a cuore aperto del protagonista, trafitto da inquietudini interiori che prova a scardinare per voltare pagina.

“Cold Water” è un’altra di quelle canzoni in grado di toccare certe corde nascoste nel profondo, è un sussurro aggraziato che pian piano si fa strada, esce in superficie e si dipana in tutta la sua bellezza intrinseca (ammantata da un velo di tristezza) per un finale da pelle d’oca.

Si arriva poi a uno dei vertici assoluti del disco, una traccia che invero si discosta dal resto della scaletta, sia da un punto di vista stilistico che strutturale: la prima parte di “I Remember” è tutta appannaggio di Lisa Hannigan che da sola, quasi a cappella se non fosse per una cristallina chitarra acustica in lontananza, sorregge il brano, inchiodando all’ascolto e trascinando con se’ l’ascoltatore in un mosaico di immagini ed emozioni… sembra tutto finito, avvolti come siamo da un passionale torpore, e invece d’un tratto appare un tormentato e ispido Damien Rice che conduce il brano in ben altri territori, all’insegna di un vorticoso noise-folk, con echi di Jeff Buckley (che ben ricorda quando decide di innalzare il livello di pathos interpretativo).

“Eskimo” ci fa infine tirare il fiato, atterrando in un’area amica ampiamente battuta durante le tappe di questo disco, e decide di farlo in grande stile con tanto di orchestra e intervento finale dell’imperiosa voce del mezzosoprano Doreen Curran.

Un album come “O” ha rimesso al centro di tutto la forza delle canzoni, rinnovando una formula se vogliamo semplice ma capace oggi come allora di trasmettere una vasta gamma di sensazioni: Damien Rice, al di là  delle fonti di ispirazione che qualunque artista porta in dote, ha poi innescato il tutto in chiave personale, diventando per un periodo egli stesso paradigma per la generazione di cantautori successiva.

Ha mantenuto sempre però un profilo piuttosto basso, centellinando oltremodo le uscite discografiche e lambendo di fatto quel successo tout court tale da poterlo imporre e accostare a certi nomi (come quelli tirati in ballo qui), rispetto ai quali non possedeva magari il genio creativo ma di certo una classe e un buon gusto da songwriter che manca terribilmente a tanti esponenti odierni.

Data di pubblicazione: 1 febbraio 2002
Tracce: 10
Lunghezza: 61:27
Etichetta: 14th Floor/Vector
Produttore: Damien Rice

Tracklist
1. Delicate
2. Volcano
3. The Blower’s Daughter
4. Cannonball
5. Older Chests
6. Amie
7. Cheers Darlin’
8. Cold Water
9. I Remember
10. Eskimo