Per parlare di questa nuova fatica dei Blushing inizierei dal “contorno”. Alla produzione c’è Elliott Frazier (Ringo Deathstar) e al master finale ha messo mano Mark Gardener (Ride), giusto per partire così, subito forte. Se poi vediamo che in “Blame” singolo portante del disco c’è addirittura la voce di Miki dei Lush, beh, capirete che le coordinate sono chiare.

I Blushing non si nascondono dietro a un dito e non fanno promesse che poi non manteranno: il timone è saldamente ancorato agli anni ’90 e le caratteristiche dello shoegaze sono tutte ben in mostra. Questo non vuol dire che ci troviamo di fronte all’ennesiam fotocopia. Non basta mandare la chitarra in distorsione e cantare in modo più o meno etereo per fare un buon disco e il quartetto di Austin lo sa bene, anzi, circondarsi di eroi del genere nella produzione del disco ha forse accentuato l’idea della band, ovvero conoscere e valorizzare alla perfezione le basi per poi cercare di essere i più personali possibili.

“Bed” è magnifica apertura d’album, già  pronta a mettere sul piatto un biglietto da visita ricco. Partenza col basso in vista, pulsazioni che ricreano il battito del cuore e poi, dopo la calma ecco la chitarra distorta e rabbiosa, con il brano che alza i giri, ritorvando sempre la sua linea melodica pulita, salvo poi diventare quasi furioso nel finale. La band dosa alla perfezione nel corso di tutto il percorso potenza, atmosfere più dilatate, rumore e melodie, lasciando che spesso le cose si mescolino a dovere, ma anche che una sappia prendere il sopravvento, come in “Sour Punch” in cui la componente dell’immediatezza melodica è predominante (molto Lush questo brano!), mentre in un brano come “Surround” c’è lo scontro tra dolcezza iniziale e la tensione deragliante che emerge da metà  canzone. Se cercate invece chitarre ipersoniche andate dritti alla title track, che non vi deluderà .

Se “Ours” è altra delizia melodica, impreziosita dal lavoro ritmico ai fianchi,   che ciporta quasi in territori drem-pop ballabili ecco che “The Fires” è proprio un classico del genere, con quella capacità  propria dello shoegaze di creare l’atmosfera più che fermarsi sulla forma canzone classica, una canzone con un gran bel crescendo e il finale con la batteria che picchia forte ci esalta.

Nel finale la band tiene alta l’attenzione con i cambi ritmici costanti di “Lost Cat” (la mia canzone preferita dell’album) e chiude molto bene con l’andamento in apparenza più leggero di “How It Ends”, caratterizzata dal bel ritornello rumoroso e da un perfetto lavoro strumentale e ritmico che accompagna le più belle trame vocali dell’album.

Pollice in su per i Blushing insomma, li attendevamo al varco e non hanno deluso.