Le architetture sonore degli Stella Diana sono amorevolmente oscure, in bilico sulla sottile e pericolosa cresta di un vulcano, il quale, come un antico e dimenticato dio, sembra dormire, mentre, in realtà , sta assorbendo tutte le ossessioni, le fobie, le assurdità  e le contraddizioni del mondo globale di cui siamo parte e che, con i nostri comportamenti, spesso maniacali, violenti e superficiali, contribuiamo a rafforzare, rendendo sempre più tortuoso, morboso e claustrofobico il nostro futuro.

Tutto ciò si proietta, con accattivante e malinconica inquietudine, sui nove brani di “Nothing To Expect”, in un affascinante equilibrio di trame shoegaze, psichedeliche e dark-rock, le quali irrompono nelle nostre camere e nei nostri salotti virtuali, mettendoli a soqquadro e mostrandoci quanto siano solitarie, estranianti e finte le nostre esistenze. Si tratta di qualcosa, di un mondo intero, che sta finendo, distrutto dall’odio e dalla brama di potere che noi stessi, con le nostre scelte economiche, politiche e sociali, abbiamo generato. Ne siamo impauriti, in quanto ci rendiamo conto che tutte le sicurezze e le certezze, sulle quali avevamo costruito questi nostri modelli e schemi mentali, erano sbagliate, ma adesso non possiamo fare a meno di andare avanti, incamminandoci verso l’ignoto,’ mentre, intanto, le atmosfere sonore della band napoletana si fanno sempre più sinistre e palpitanti, intrise di riverberi notturni e di drammaticità  cinematografica, ma anche di una cruda, salvifica e catartica consapevolezza.

Una consapevolezza che ci spinge ed esorta ad accettare ciò che abbiamo, a trovare appigli cui aggrapparsi per poter resistere e quindi ripartire. “Nothing To Expect” è una formula potente, che non esprime la resa incondizionata, ma, piuttosto, la volontà  di utilizzare, al meglio, ciò che abbiamo attorno, ma anche, soprattutto, ciò che abbiamo dentro di noi. A volte sembra non esserci abbastanza luce intorno, a volte le ombre sembrano dilaniarci e spingerci verso il male assoluto, ma, per quanto possa fare freddo, internamente ed esternamente, abbiamo ancora la nostra voce, la quale, come una preziosa e calorosa scintilla, appare nelle cupe stanze di “In Abeyance”, tra le sue sonorità  minimali, crepuscolari e rarefatte, soprapponendosi, magicamente, alla luna di “A New Hope”, per la quale nessuna distanza è tale da impedirle di incrociare il nostro sguardo, di ascoltare i nostri sussurri o di sintonizzarsi con il silenzio che accompagna i nostri sentimenti ed i nostri pensieri. Imparare ad essere come quella luna e non dimenticare la propria voce e quindi la propria umanità , ecco cosa servirebbe per rendere questo mondo, soprattutto osservando cosa sta accadendo oggi, un luogo più sicuro, più giusto e più pacifico.

Credit Foto: Oriana Spadaro