Tutti hanno sentito parlare del rock progressivo, genere che negli anni ’70 provenne dall’Inghilterra e dominò le classifiche con band come i Pink Floyd, gli Emerson, Lake & Palmer, gli Yes. Ma è un genere, o piuttosto un’attitudine, come diceva il leader della band che, di fatto, fondò il genere nel 1969, Robert Fripp dei King Crimson? In otto capitoli, proviamo a fare una storia di come questa volontà  di fare musica rock “che duri” nel tempo, “progressiva”, nel senso di una volontà  di non sedersi mai sugli allori del successo e continuare a sperimentare, sia proseguita ben aldilà  del periodo d’oro del Prog degli anni ’70. Fino ai giorni nostri, arrivando al “Brixton Sound” e passando dall’Art-rock, il Post-punk, il Post-rock, il Progressive-metal.

8. Il re cremisi è morto, ma lo spirito del prog è vivo e lotta con noi

Mentre alcune delle band prog dell’epoca d’oro hanno chiuso i battenti e altre proseguono i loro tour per fan della generazione boomers, nella scena rock odierna lo spirito e l’attitudine “prog” tesi a superare le barriere che dividevano il rock dagli altri generi è ormai rintracciabile ben al di fuori del genere “progressivo”. La sperimentazione dei Radiohead e dei loro epigoni, nonchè la libertà  stilistica delle band che animano il “Brixton Sound” ne sono conferma.

In questo 2022, alcune delle band del periodo d’oro del prog (vedi la seconda puntata), terminato (speriamo) il periodo nero del COVID, hanno ripreso a girare in tour. Jethro Tull, Van Der Graaf Generator, Yes, capitanati dai loro leader storici ultrasettantenni, affiancati spesso da membri più giovani in sostituzione di chi non c’è più (o non ce la fa più), intrattengono pubblici di boomers, legittimamente legati alla musica della loro giovinezza. Sempre attivi sono anche i meno attempati Marillion (vedi la sesta puntata) che hanno appena pubblicato il loro ventesimo album in studio, con ottimi riscontri nelle classifiche. Questa band, dopo la separazione dal cantante Fish nel 1985, ha gradualmente trovato un sound più originale e più moderno rispetto alla forte influenza dei Genesis dei loro inizi, ma sempre saldamente nei confini del prog. Gli stessi Genesis (vedi la terza puntata) invece, viste le condizioni di salute di Phil Collins, hanno dovuto gettare la spugna con un concerto tenutosi a Londra il 24 marzo scorso.

I  Pink Floyd, da parte loro, avevano già  abbandonato le scene dopo la scomparsa del  tastierista Richard Wright, ma sono tornati con una canzone in questi giorni per una buona causa: la resistenza ucraina all’aggressione russa. Alla fine del 2021, anche i King Crimson sembrano aver dato l’ultimo concerto della loro carriera a Tokyo. Senza grandi annunci, lasciando un minimo di ambiguità  sulla possibilità  che il re cremisi risorga comunque prima o poi, il fatto che King Crimson sia passato “dal suono al silenzio” (cit. Robert Fripp) segna comunque uno spartiacque. Analogamente a quanto accadde con lo scioglimento del 1974 (vedi la quinta puntata), si può dire che è finita un’epoca, che si stava entrando nella ripetizione, la quale, per definizione, è nemica del concetto stesso di “musica progressiva”.  

Mentre salutiamo il re cremisi, guardandoci attorno nel panorama rock di questi anni ’20, l’impressione è che il suo regno di musica rock che va oltre i propri confini, “appropriandosi di procedure proprie della musica classica e del jazz” (vedi la prima puntata), sia ormai ben introiettato nella mente e nelle conoscenze degli attuali rockettari. Aldilà  dell’offerta che oggi ruota attorno a etichette come la K-Scope (vedi la settima puntata), concepita per soddisfare la richiesta di musica nuova da parte degli appassionati del genere, l’attitudine che 50-55 anni fa contraddiceva i pionieri del prog  si è diffusa ormai ben al di fuori dei confini del prog puro. Il Regno Unito post-brexit, per esempio, è testimone di un “risorgimento rock” di band che vengono genericamente definite come “post-punk”, in mancanza di termini nuovi per ora. Come abbiamo visto nel Cap. 5, l’etichetta di genere era nata alla fine dei ’70 con band come i Talking Heads, la cui storia ha anche un debito con il prog classico e con la sua attitudine sperimentale e di ricerca. Alla fine del decennio ’80, si svilupperà  pure il Post Rock, per il quale anche abbiamo stabilito simili debiti (nella sesta puntata). Definito da qualcuno “il prog di chi non sa suonare”, questo movimento si affermò sopratutto in Nordamerica, tramite band come gli   Slint, Tortoise, Godspeed You Black Emperor. Una musica che deve molto ai King Crimson di “Discipline” e “Red”, nonchè al Krautrock tedesco (vedi la quarta puntata), al minimalismo classico, al Jazz Rock di Miles Davis, ai primi quattro dischi solisti di  Brian Eno.  

I due termini, “Post Punk” e “Post Rock” si accavalleranno e confonderanno negli ultimi decenni: semplificando, il primo sembra riferirsi a musica più aggressiva, più tagliente anche nelle tematiche trattate, all’interno di un’etica DIY tipica del punk; il secondo viaggia invece verso lidi a volte più eterei, più vicini a altri generi musicali come l’Ambient e il Jazz. Oggi, è il Post Punk a dimostrare più popolarità , con le band del suddetto “risorgimento” che sta riportando sonorità  rock nelle Top Ten, almeno nel Regno Unito per ora. E sappiamo come, da sempre, il Regno Unito sia un diffusore di virus musicali al resto del mondo. Molte di queste band gravitano attorno al Windmill Pub di Brixton, sud di Londra, ed è per questo che si comincia a   parlare di “Brixton Sound”. Un sound che, passando dal post-punk e dal post-rock, torna ad inglobare, spesso e volentieri, gli stilemi del jazz e della classica. Tra gli esponenti di questo nuovo sound, alcuni dimostrano un’attitudine decisamente “prog”, come gli Squid, fan dichiarati dei Talking Heads. Quindi i Black Midi, che appaiono più collegati di tutti al Prog classico, al punto che esiste un podcast dove il loro batterista dialoga con il batterista di Yes  King Crimson,  Bill Bruford, che loda la giovane band. La quale ha pubblicato recentemente un EP di cover dove figura una versione di “21st Century Schizoid Man”, l’iconica traccia del re cremisi. Infine, i Black Country New Road: una specie di “orchestra post-punk” composta da sette elementi, tra cui una violinista e un sassofonista e in cui convive la passione per il punk e il pop contemporanei, con un’educazione musicale da conservatorio. Il loro approccio, senza confini di genere, giunge a includere la tradizione musicale del Klezner, che affonda le sue radici nelle comunità  ebraiche dell’Europa orientale, così come il minimalismo musicale. Difficile prevedere qualche anno fa che nel 2021 e nel 2022, gli album di una band siffatta potessero rientrare nelle Top Ten!

Per capire un passaggio fondamentale che porta alla musica rock sperimentale di oggi, va fatto un passo indietro di quasi 30 anni, allorchè gli inglesi Radiohead avevano pubblicato nel 1993 un disco di esordio, “Pablo Honey” classificato come Alternative rock o Grunge. Nei successivi 8 dischi pubblicati fino ad oggi, il sound della band diventerà  gradualmente sempre più eclettico e sperimentale, guadagnandosi l’etichetta di Art Rock, o Post-rock. In maniera abbastanza imprevedibile, più i Radiohead hanno sperimentato, più il successo li ha premiati, a un livello di popolarità  pari a quella dei Tool. Ma quando qualcuno ha provato a definirli “Prog”, la band ha risposto piccata dicendo di “odiare” quel genere. Immagino si tratti qui di mettersi d’accordo sul significato della parola, visto che è difficile non notare qualche assonanza almeno con Pink Floyd e King Crimson, per rimanere al Prog classico di cui le due band citate rappresentavano le realtà  più sperimentali e meno legate ad uno stile musicale particolare. Nella mia esperienza, spesso i fan di queste band lo sono anche dei Radiohead. Quel che sembra meno vero per i fan degli Yes, degli ELP, dei Genesis o dei Jethro Tull, tutte band che, non a caso, hanno uno stile più cristallizzato, lasciato da alcuni solo temporaneamente negli anni ’80 per stare al passo con il mainstream. Se i Radiohead, che han preso il nome da una canzone dei Talking Heads, siano o meno “prog” e’ stato dibattuto più volte dagli esperti. A mio parere, l’uso degli ultimi ritrovati dell’elettronica (decenni dopo il Mellotron), di forme compositive non tipiche del rock, l’importanza data al suono, al campionamento e all’atmosfera finanche con brani di musica Ambient, per citare solo alcuni aspetti, sono indicatori di una attitudine pienamente “Prog”, secondo la definizione di Robert Fripp che qui seguiamo: “Prog come attitudine”. Di sicuro, i Radiohead sembrano oramai rappresentare uno spartiacque imprescindibile. Tutti gli artisti che nel generico ambito “rock” hanno in questo secolo sperimentato, non possono non dirsi influenzati dalla band e soprattutto dal loro fondamentale album di inizio secolo, “Kid A”. Con sonorità  simili ai Radiohead, ma più marcatamente e persino dichiaratamente progressive, nello stesso periodo di questi ultimi 30 anni si sono distinti gli  Archive. La musica dell’ensemble inglese guidata da Darius Keeler e Danny Griffiths  deve un gran debito ai  Pink Floyd, oltre che alla scena trip-hop di Bristol.

Arrivando quindi ad analizzare la scena rock di questi primi anni ’20, vediamo band sorte negli anni ’90 come Post Rock, che mantengono un buon seguito di pubblico (ad es. i tedeschi Notwist e gli scozzesi Mogwai); mettendoli idealmente insieme alle opere delle più giovani band del “Brixton Sound”, esce un quadro ben preciso della nuova musica rock di oggi: forme antiche di musica – folk e world, classica e jazz – come più recenti – punk, shoegaze, elettronica, drone – convivono insieme liberamente. Un quadro da cui parrebbe che l’intuizione di fine anni ’60 che diede vita al movimento “prog”  è ancora oggi viva e vegeta. Parallelamente a quanto fatto con altro stile e altra epica dai Velvet Underground negli USA, negli stessi anni, band di giovani inglesi confluite su Londra davano vita all’idea che il rock potesse essere una forma d’arte, diffondendola sia nel continente che oltre-atlantico. Una musica che andasse oltre i canoni del blues (nelle sue numerose declinazioni) o del pop tradizionale, per ricomprendere influenze da altri generi (all’epoca considerati più colti), o addirittura altre forme d’arte. Questa idea era alla base dell’attitudine “prog” di cui parlava Robert Fripp (vedi la prima puntata) e della volontà  di “fare arte” di quanti fondarono il genere. Se si ascoltano le band citate in questa puntata, si direbbe che questa attitudine sia data ormai per scontata dai musicisti più giovani, e contribuisce a riportare un certo interesse del pubblico verso la musica rock. Un trionfo, oltre 50 anni dopo, che consente tutt’oggi di parlare ancora di musica progressiva anche al di fuori degli stilemi del Prog classico degli anni “’70.