Oramai sarà  la milionesima volta che li vedo dal vivo. Scoperti in apertura degli Editors, in un lontano 2012, me ne sono innamorato perdutamente. Il loro alt-rock / glam-rock /indie belga mi fa letteralmente impazzire. E dal vivo sono una cosa mostruosa.

I Balthazar sono, per mia definizione, uno dei gruppi più sottovalutati nel panorama europeo: vuoi per le modalità  di promozione nel sud del continente che a volte non hanno fatto centro, vuoi per il genere musicale non certo popolare. Fino a “Fever”, quarto album in studio, ai loro concerti eravamo letteralmente 4 gatti (una volta io e una mia amica, fan di vecchia data come me, siamo finiti in un bar sprovvisto di palco sperduto nella periferia torinese), ma proprio da quel penultimo lavoro qualcosa è cambiato. Il loro primo show sold-out alla Santeria Toscana di Milano, i ritornelli accattivanti, la gloria nelle classifiche streaming globali.

Il loro ultimo lavoro, “Sand“, è una prosecuzione di quello precedente motivo per il quale è uscito infatti poco dopo. Ero molto curioso di sentirlo finalmente dal vivo, ma ahimè come tutti sappiamo questi due anni non sono stati facili. Rimandato svariate volte, cambiato di location altrettante, sono arrivato impaziente a domenica perchè mi mancavano veramente troppo.

Come sempre un palco molto semplice, formato da svariate torrette per le luci e un normalissimo telo alle spalle. L’effetto visivo, comunque, è strabiliante. Il gruppo riesce, nelle scelte stilistiche, a rendere il palco di un normale club uno stage teatrale dando profondità  visiva da ogni lato. La foga e la carica energetica sono le medesime di pochi anni fa, quando li ho visti a Milano per il “Fever Tour”, solo che questa volta qualcosa è cambiato.

La preparazione dietro al tour, alla performance strumentale e canora è migliorata esponenzialmente: non è una semplice riproduzioni di brani dal vivo, in questo caso la band è riuscita a trasformare ogni singola canzone in qualcosa di diverso e unico. Gli esempi sono svariati, anche se basta a partire dalla prima che aperto il live: “Hourglass”, dal nuovo album, dai toni minimalisti ed intimi è stata riarrangiata con una base più elettronica ed un intro semplice ma d’effetto. Ancora diversamente dalle vecchie versioni, “Do Not Claim Them Anymore” e il suo intro alla Red Hot Chili Peppers: la riconosci dall’inizio, che è sempre lo stesso, ma man mano che si va avanti ogni santa volta viene cambiata anche una singola e semplice nota migliorandola ancora di più.

I Balthazar che ricordavo io, quelli di tanti anni fa quando ancora c’era Patricia al violino, sono ricomparsi nel loro spaccare tutto con “The Boatman”, uno dei pezzi più belli del loro primo album. Così come “Blood Like Wine”, e il suo grande ritornello finale che viene accompagnato dalle voci del pubblico, e “I’ll Stay Here” in versione acustica e solo cantata da uno dei due frontman Jinte ma, purtroppo, tagliata a metà  sul più bello.

Detto ciò, tra pezzi vecchi (pochi) e pezzi nuovi (molti) ho una critica da fare: tralasciando l’amore spassionato nei confronti di questi 5 ragazzi, la scelta dei brani per la setlist è stata pessima. Posso capire il fatto che siano stati gli ultimi due album a farli conoscere ancora di più al pubblico italiano, ma questo mi ha un po’ deluso nel non trovare quei bei pezzi oramai vecchiotti che suonavano fino a due anni fa. O ancora di più, la mia delusione nel sentire canzoni come “Fifteen Floors” o “Sinking Ship” solo accennate e non performate in toto.

A finire il primo set, prima dell’encore, la conosciutissima e oramai famosissima “Fever” che riarrangiata in chiave più elettronica e dance ha lasciato a bocca aperta tutti e ha fatto saltare letteralmente tutti con il reprise dell’ultimo ritornello. Con “Losers”, i 5 ragazzi del Belgio chiudono il loro live: ero un attimo dubbioso sul finire con questa canzone, che a differenza di molte altre, non si presta a chiudere in maniera grandiosa un concerto. Mi sono dovuto ricredere perchè, come ogni volta, hanno saputo modificarla rendendola effettivamente una hit da chiusura.

Menzione d’onore per “Entertainment”: a differenza di due anni fa, mi sono sentito quasi ad un concerto hard-rock accerchiato da metallari per quanta energia cazzutissima hanno dimostrato e trasmesso a noi nel parterre. Ci mancava una chitarra infuocata e uno stage diving ed eravamo a posto. Da 10 anni i migliori 30 euro mai spesi per un concerto.

Setlist

Hourglass
Grapefruit
Do Not Claim Them Anymore
Sinking Ship
The Boatman
Moment
On a Roll
I’ll Stay Here
You Won’t Come Around
Blood Like Wine
Linger On
I Want You
Fifteen Floors
Fever
Entertainment
Bunker
Losers

Foto: Fabio Campetti