A meno di tre anni da “Ode To Joy”, i Wilco sono tornati con questo loro dodicesimo LP: prodotto da Jeff Tweedy insieme a Tom Schick, il disco è stato registrato nel loro studio a Chicago, The Loft, e ha visto i sei componenti della band registrare tutti insieme nella stessa stanza per la prima volta da “The Whole Love” (2011).

I ventuno brani sono registrati quasi tutti live e ci sono pochissimi overdub, mentre, per quanto riguarda il genere, come ammette lo stesso frontman, i Wilco sono tornati a esplorare territori country, anche se in maniera diversa rispetto ai loro inizi.

Il country del titolo, però, non si riferisce solo al genere musicale, ma anche al loro paese, gli Stati Uniti, che pure vengono definiti come “cruel”: “questo è il paese che amo”, spiega Tweedy, e perciò in queste ventuno canzoni cerca di analizzare le sue problematiche.

“I Am My Mother” apre i giochi segnando il tono di questi settantasette minuti, tuffandosi in territori country semplici costruiti con lapsteel, piano, percussioni leggere e armonie, mentre Jeff parla di un tema delicato come l’immigrazione.

Più avanti “All Across The World” si muove gentile e quasi accattivante e, nonostante il suo tono malinconico, non nasconde elementi pop assolutamente puliti che si vanno ad aggiungere alle influenze country-folk.

“Bird Without A Tail / Base Of My Skull” si apre tranquilla e gode di piacevoli armonie e man mano che progredisce nei suoi cinque lunghi minuti guadagna un’eleganza jazz per poi lasciare un ampio spazio al suono delle chitarre acustiche.

Nella successiva “Tired Of Taking It Out On You” Tweedy e soci disegnano splendide e rilassanti melodie country-folk, classiche e senza tempo, trovando nella semplicità  l’arma migliore in loro possesso.

“Many Worlds”, che con i suoi quasi otto minuti è la canzone più lunga delle ventuno presenti su “Cruel Country”, è posta proprio al centro del disco: possiamo ascoltare i synth di Mikael Jorgensen e c’è anche una maggiore libertà  di azione per la chitarra di Nels Cline, ma è sempre la voce di Jeff a ipnotizzarci, insieme al piano, con quei suoi candidi toni poetici e sempre emozionanti.

“Falling Apart (Right Now)” segna un evidente aumento di velocità , andando a recuperare elementi dal country più classico (i.e. Willie Nelson) e risulta divertente e piacevole.

L’album si chiude con “The Plains”, dove elementi elettronici in sottofondo accompagnano il suono pulito di una chitarra acustica, mentre la voce di Tweedy disegna le ultime toccanti emozioni di questo loro dodicesimo full-length.

Sebbene qualcuno criticherà  la decisione dei Wilco di pubblicare un doppio album di quasi ottanta minuti, dobbiamo ammettere che il suo valore è fuori discussione: pur tornando indietro nel tempo, camminando su territori sonori a loro più famigliari nei primi anni della band, la sua grande solidità , le sue sensazioni melodiche e quelle emotive permettono a “Cruel Country” di essere definito come un ottimo album senza paura di essere smentiti e la classe dei sei musicisti di stanza a Chicago è sempre lì a brillare.

Photo Credit: Charles Harris