Immaginate che siamo nell’anno 1977 e voi siete dei qualunque giovani rocchettari di Toronto, fan degli April Wine, il cui ultimo disco aveva da poco dominato le classifiche canadesi. Per cui, quando la vostra radio rock preferita lancia un concorso per andarli a vedere allo storico clubbino della vostra città , The El Mocambo, non esitate. La domanda a cui dovete rispondere è: “perchè vorrei andare a un party con i Rolling Stones“. La risposta che date sembra quella giusta ed eccovi in lista per il concerto degli April Wine in un club da 300 persone, già  di per sè un evento esclusivo, se sei canadese nel 1977. Band di supporto: gli sconosciuti Cockroaches.

Senonchè, una volta che siete lì, l’ordine dei fattori viene invertito e gli April Wine aprono la serata. E dopo di loro, vi ritrovate sul palco, annunciati all’improvviso, non i fantomatici Cockroaches (scarafaggi come qualcun altro, ma con un “cock” nella parola: tutto torna)  ma proprio loro, quelli con cui avreste voluto andare a un party: The Rolling Stones. Keith Richards, in forma come uno zombie, sguardo perso, barba incolta, attacca il riff di “Honky Tonk Women”, Charlie Watts gli va dietro e la magia è servita per le successive due ore.

Questa è la storia di un gruppo di rockstar che doveva terminare un disco live per onorare il proprio contratto discografico, ma non aveva abbastanza materiale decente. Era da un po’ che in concerto la band non girava come prima. Si decise allora di andarsi a cercare un piccolo club in Canada (dove gli inglesi non avevano bisogno di visto), per ricreare la magica atmosfera degli inizi, prima delle folle da stadio. Ma non era un caso se la band non girava, essendo il loro leader musicale ormai uno zombie tossicodipendente che si trascinava da una pera all’altra, da un arresto all’altro. L’ultimo proprio a Toronto, alla vigilia del doppio concerto a El Mocambo, avendo fatto la genialata di spedirsi parecchi grammi di roba dall’Inghilterra per posta; peccato che la polizia canadese avesse intercettato il pacco.

Keith rischiava di brutto, diversi anni di galera in Canada e questo era lo stato d’animo con cui la band calcava il palco del piccolo locale in attesa dell’imminente processo: difficile che i Rolling   avrebbero potuto sopravvivere con il chitarrista dietro le sbarre. La condanna non ci fu, Keith fu salvato da un tecnicismo giuridico e se la cavò con una multa. Ma quel 4 e 5 marzo 1977, questo non si sapeva ancora. Quei giorni, in quello stato d’animo, le pietre rotolanti si ritrovarono, come agli inizi, su un piccolo palco di un piccolo club. Con una folla particolarmente affettuosa però, che comprendeva alcune ragazze che massaggiavano l’inguine di Mick Jagger mentre cantava, per procurargli un’erezione. E comprendeva, Maggie Trudeau, moglie dell’allora primo ministro canadese e in quei giorni amante di Ron Wood, con grande scandalo sui media locali: scandalo da cui nasce la leggenda per cui, l’attuale primo ministro, Justin Trudeau, sia figlio naturale di uno dei Rolling.

Questa la storia. La musica era apparsa, 4 tracce, sul doppio “Love You Live”, pubblicato pochi mesi dopo. E adesso, finalmente per intero su questo “Live at The El Mocambo”. Uno dei più bei dischi live della storia della band, completamente atipico. Siamo abituati a vederli e ascoltarli negli stadi e nelle arene, accompagnati dal boato di decine di migliaia di persone. Ora li possiamo immaginare e ascoltare nel club sotto casa,  a una distanza da cui si possono vedere le gocce di sudore sulla tuta di Mick;  nonchè il pallore da eroinomane di Keith.  Una distanza da cui respiriamo il fumo delle sigarette di Ron Wood; da cui  il basso di Bill Wyman e la batteria di Charlie Watts   vibrano sulla nostra pelle senza filtri, direttamente dai loro strumenti; e il pianoforte di  Billy Preston  ti entra direttamente nei timpani.

Un disco glorioso, di quelli che non si capisce perchè ci hanno messo 45 anni a rilasciarlo. Remixato suberbamente da Bob Clearmountain. Un disco che lo ascolti e capisci che Charlie è ancora qui con noi e lo sarà  per sempre. Charlie, che dopo “Worried Life Blues” viene perculato da Mick  con una mezza verità : “Charlie è un batterista jazz; è qui solo per i soldi“.  Poi  Keith  attacca una intensa “Little Red Rooster” e ricordi che lui invece è ancora qui con noi anche fisicamente e la cosa non finisce mai di stupirti. E ricordi che Mick è il re delle folle; piccole e raccolte come a The El Mocambo, oppure oceaniche, non cambia. Una volta di più, capisci che The Rolling Stones sono molto di più che la somma degli individui che ne fanno e facevano parte. Loro sono lo spirito e l’anima del rock’n roll e quelli non moriranno mai, finchè i nostri sterei suoneranno dischi come questo.