La scena musicale australiana ha sempre potuto contare su una propria linfa, fresca e prolifica, che ha nutrito artisti di notevoli capacità  (faccio il nome di Nick Cave per citare forse il più poliedrico e istrionico) che hanno reso l’isola un punto di riferimento per i musicisti di tutto il mondo. Non possiamo quindi considerare l’Australia una provincia britannica o statunitense in fatto di punk, post punk e tutto il post che ne consegue. Basterebbe conoscere la storia – o meglio – la discografia dei Saints per farcene un’idea. è appunto in questa terra fertile, al contrario della nota aridità  del luogo, che possiamo fare la conoscenza delle Body Type, gruppo tutto al femminile che con l’uscita del loro primo album “Everything Is Dangerous But Nothing’s Surprising” ha fatto drizzare molte orecchie ricevendo ben cinque stelle da NME che aggiunge pure un commento che pesa più di un blocco di pietra calcarea utilizzato per la costruzioni delle piramidi della piana di Giza: “…and one of the best Australian debut albums in recent memory“.

Non che i giudizi stellati del NME valgano quanto uno dei dieci comandamenti scolpiti sulle tavole che Dio diede a Mosè ma un minimo di curiosità  (possiamo sbilanciarci anche con il meno cordiale termine “scetticismo”‘) certe valutazioni le suscitano.
Sono di Sidney e le undici tracce furono registrate all’inizio del 2020. Inizio del 2020 che ormai tutti noi malediciamo, figuriamoci le ragazze australiane costrette a rinviare pubblicazione e successivo tour di ben due anni.

Uno dei potenziali vantaggi di una band è avere più componenti abili nel comporre brani.
Scopriamo quindi che le due chitarriste Sophie McComish e Annabel Blackman e la bassista Georgia Wilkinson-Derums si alternano nel songwriting e alla voce, dando allo scorrere dei brani una sorta di imprevedibilità , forse perchè l’imprevedibilità  è tipica dell’universo femminile? Prendiamola ovviamente come un pregio, l’impegno politico-sociale della band non è di certo tenuto nascosto e la loro sfida ad un potere dalle sembianze maschili è testimoniata dalla McComish che dichiara di aver scritto canzoni ascoltando molto ” Man Rock” (riferendosi a Strokes e Blur) aggiungendo   un perentorio “Stavo cercando di occupare lo spazio che è così stereotipicamente maschile“.
è decisamente giunto il tempo di ascoltare il disco, mettiamo da parte le cinque stelle del NME, e senza pregiudizi buttiamoci tra i solchi invitanti del vinile. “A Line” è il brano a cui è dato il difficile compito di aprire la serie e già  il basso ha quell’andamento psichedelico che la voce ipnotica della Blackman enfatizza, la batteria di Cecil Colemanche che subentra a giochi iniziati ha sempre il suo bell’effetto ma il vero colpo di classe sono le due chitarre che s’intrecciano grasse e corpose. Lo scoglio del primo brano, quello che ti fa scegliere tra la pastiglia rossa e quella blu è decisamente superato.
I due accordi di “The Brood” sono il luogo dove i B-52’s incontrano le Bikini Kill con la Wilkinson-Derums autrice e una scatenata chitarra che la  McComish non smette di valorizzare anche nella successiva “The Charm”.

Mi accorgo di essermi ficcato nel guaio di chi inizia a recensire un album cercando di descriverne i brani, uno di seguito all’altro…
Quindi qui mi fermo qui. Ma ditemi se si può restar fermi ascoltando “Flight Path” o se si può sfuggire al fascino di “Futurism” o alla micidiale accoppiata “Buoyancy”/”Sex & Rage”?

Le cinque stelle sono “alla fine del giorno” meritate? Uno dei migliori debutti australiani?
Il giudizio lo lascio a ognuno di voi, il mio voto ignoratelo, è solo un numero che non conta nulla.

Photo Credit: Ellen Virgona