Seconda data in Italia per l’acclamatissima Tash Sultana, concerto milanese più volte rimandato tra pandemia e altre problematiche. Bissa, stasera, l’esibizione di venerdì scorso in chiusura alla prima serata del Todays Festival in quel di Torino, altro pride nazionale che ci teniamo stretto stretto, sempre più lanciato come fiore all’occhiello e appuntamento imperdibile per chi segue la musica che conta.

Dicevo Tash porta in scena i suoi due album finora licenziati, una verve fuori dal comune e l’abilità  di essere una prima della classe, abbracciando diversi strumenti, dalla tromba ai synth, dal basso alla batteria, fino all’amata chitarra, con un’attitudine fuori dal tempo, una sorta di filosofia vintage con tanto di assoli lunghi e complicati, unendo sapientemente un sound comunque recente ad appunto una scuola primordiale, una ricetta coraggiosa e dèmodè, ma che invece ha colto nel segno, premiando l’artista classe ’95 con un plebiscito di critica e lusinghieri apprezzamenti e dei social molto seguiti.

Una serata di fine estate con minacce piovose incombenti, orario rispettato a dovere per le circostanze e show puntualissimo.

Ad aprire le danze un ospite, tale e sconosciuto Josh Cashman, connazionale della padrona di casa, invitato a scaldare il numeroso pubblico, dato che l’evento, sebbene fosse annunciato da tempo, è andato sold out con largo anticipo.

Artista giovanissimo, si presenta in solitaria, chitarra e sottofondo di loop, pop moderno e un pizzico di neo soul, suona una mezz’ora abbondante.

Quindi Tash Sultana on stage per le 21.15 precise, nel frattempo anche il tempo sembra essersi definitivamente calmato.

Assurda di per se quanto unica, che in solitaria per la prima parte del set, campiona ogni singolo strumento fino a creare un tappeto sonoro completo, sinceramente non mi era mai capitato di assistere ad una performance così, ma forse non ne esiste proprio un’alternativa.

Suonata una buona parte di concerto, arriva la band a dare manforte per evitare che quest’idea bizzarra di fare musica non risulti stucchevole, insieme ai compagni di viaggio s’imbattono subito in quella che per il sottoscritto, finora, è il suo brano più bello, la malinconica “Crop Circle”, mantenendo lo stesso iniziale leit motif, quindi canzone rivisitata, allungata, dilatata. Un concerto che prende dalla psichedelia seventies quell’approccio total free ai brani che in studio sono decisamente più canonici. A volere fare l’avvocato del diavolo, alla lunga potrebbe anche scattare l’effetto sbadiglio, diciamo che qualche episodio fedele alla produzione e pubblicazione non avrebbe guastato la festa.

Quindi sebbene abbia suonato un’ora e mezza abbondante la setlist vede pochi episodi, da citare “Willow tree”, “Pretty Lady”, l’overture di “Big Smoke” e le conclusive “Notion” e “Jingle” nei bis, eseguite nuovamente in modalità  One woman band.

Pubblico giovane e caloroso, quanto attendo, può ritenersi pienamente soddisfatto, difficile chiedere di più.

Photo Credit: Roberta, CC BY 2.0, via Wikimedia Commons