Tempo di commemorazioni anche per “Document”, quinto album dei R.E.M., pubblicato il 31 agosto di trentacinque anni fa.

Un album che, ad oggi, potrà  sembrare per alcuni soltanto una tappa, seppur valida, di un percorso glorioso come quello dei ragazzi di Athens, ma che all’epoca si rivestì di parecchia importanza, perchè si stava assistendo in presa diretta alla crescita esponenziale dei Nostri, partiti dall’underground “vero” per affacciarsi gradualmente ma inesorabilmente nella galassia mainstream a stelle e strisce (e non solo).

E’ questo infatti l’ultimo disco uscito sotto egida I.R.S. Records (escluse ovviamente le varie raccolte degli anni successivi), prima del tanto discusso passaggio a una major, nella fattispecie la Warner.

Sembra paradossale in un residuo di mondo discografico come quello odierno che si potesse parlare di ideali traditi legati alla musica, eppure anche ai rispettabilissimi Michael Stipe e soci l’accusa di essersi venduti al sistema, rinnegando le vecchie origini, ci fu eccome, e addirittura certe critiche per troppa apertura al mercato si erano avute pure all’indomani del precedente “Lifes Rich Pageant”, invero un album senza apparenti punti deboli (oltre che, a detta di chi scrive, tra i vertici creativi della band).

Tornando a “Document” e a quei concitati giorni, c’è da dire che i prodromi di un’affermazione su vasta scala del gruppo c’erano tutti, se pensiamo che dal disco d’esordio “Murmur” fino al già  citato “Lifes Rich Pageant”, i risultati furono sempre incoraggianti, al punto che ad ogni nuova pubblicazione i R.E.M. si ritrovavano a raddoppiare le vendite.

La regola fu mantenuta anche da questo album, che rispetto alle 500.000 copie del precedente (già  un ottimo riscontro, trattandosi di dischi di area indie), toccò la cifra tonda del milione, un traguardo ragguardevole oltre che assolutamente inatteso se consideriamo appunto i loro primi vagiti, quando ancora erano principalmente associati al fenomeno delle college-band.

Fa specie appunto pensare a quanta strada abbiano fatto i R.E.M. dal loro fantastico debutto – autori di cinque dischi dal 1983 al 1987 – e quanto sia stata tangibile la loro evoluzione umana e artistica.

Ormai erano un gruppo pienamente consapevole del loro valore e del loro posto nel mondo discografico, e pronti anche a rischiare il tutto per tutto per arrivare a un pubblico sempre più vasto.

Per la prima volta con Scott Litt alla produzione – il quale rimarrà  in organico fino al 1996 firmando i best sellers della band -, i R.E.M. non temono di dire la loro su temi politici ancorchè scomodi.

E se l’attenzione all’ambiente e al sociale erano ben presenti anche nel capitolo precedente (pensiamo alle note placide che accompagnando la stupenda “Fall on Me”, dedicata alle piogge acide, così come richiami alla storia d’America erano trattati sin da “Fables of the Reconstruction”), c’è da dire che non si erano mai espressi in modo così perentorio e diretto su certe questioni. Certo, non lo faranno a mo’ di slogan o proclami facili, ma ciò che emerge dalle canzoni di “Document”   o per lo meno dalla maggior parte di esse ““ è il loro punto di vista, la loro visione delle cose, e allargandosi un po’, del mondo.

Anche musicalmente d’altronde i brani mostrano in genere più vigore e compattezza, tenendo sulle retrovie certe atmosfere intime, folk che li avevano contraddistinti a inizio carriera. In tal senso quel rock che aveva già  fatto capolino in” Lifes Rich Pageant”, qui diventa paradigma per accompagnare le accorate liriche dell’opening track “Finest Worksong” e della successiva “Welcome to the Occupation”, paradigmatica delle intenzioni della band nel mettere in guardia un’intera generazione, cosa che compie in maniera più sinistra e metaforica ma altrettanto efficace anche “Exhuming McCarthy”.

Detto dei significati che questo lavoro si porta dietro, alcuni tuttavia di non facilissima lettura, occorre ammettere come al grande successo del disco abbiano contribuito in particolare due singoli divenuti presto dei classici, vale a dire la frenetica e irresistibile “It’s the End of the World As We Know It (and I Feel Fine )” e la ballata “The One I Love”, classico esempio di anti-canzone d’amore.

Furono indubbiamente questi due pregevoli episodi a spingere in un’altra dimensione i R.E.M. rispetto al novero delle varie band alternative loro coeve, e va dato indubbio merito a Stipe, Peter Buck, Mike Mills e Bill Berry di aver raggiunto la quadratura del cerchio riuscendo a combinare in maniera perfetta le primordiale istanze artistiche a un potenziale commerciale che in fondo già  c’era, ma aveva bisogno di essere ben coltivato.

Meritano una citazione anche “Strange”, riuscita cover dei Wire, la dinamica “Fireplace” dal notevole arrangiamento venato di free jazz, e la delicata “King of Birds”, che ricorda le atmosfere bucoliche dei lavori venuti prima.

I tempi erano ormai maturi, quindi, per tentare il grande salto, e questo si sarebbe tradotto in “Green”, primo loro titolo in catalogo alla Warner Records, che avrebbe presto fugato ogni dubbio su una loro temuta virata verso il mondo del pop.

In vetta alle classifiche i Nostri ci sarebbero arrivati soltanto grazie alla qualità  intrinseca della loro proposta e alla bellezza delle loro canzoni, escludendo quindi tutti i facili escamotage.

Se posso concludere aprendo una parentesi personale, visto che si sta parlando del mio gruppo preferito in assoluto, ho sempre pensato che in realtà  “Document” non sia uno dei dischi migliori dei R.E.M. (di certo non all’altezza del suo predecessore, per non dire dei suoi immediati successori, i vari “Green”, “Out of Time” e “Automatic for the People”), ma è stato a suo modo un album imprescindibile, crocevia fondamentale e necessario per la loro gloriosa seconda parte di carriera, quella della piena maturità  e dei grandi exploit su vasta scala.

R.E.M. ““ Document
Data di pubblicazione: 31 agosto 1987
Tracce: 11
Lunghezza: 39:51
Etichetta: I.R.S. Records
Produttore: Scott Litt e R.E.M.

Tracklist
1. Finest Worksong
2. Welcome to the Occupation
3. Exhuming McCarthy
4. Disturbance at the Heron House
5. Strange
6. It’s the End of the World As We Know It (and I Feel Fine)
7. The One I Love
8. Fireplace
9. Lightnin’ Hopkins
10. King of Birds
11. Oddfellows Local 151