La pandemia ha rischiato di mettere in seria difficoltà i Death Cab For Cutie: Ben Gibbard, Nicholas Harmer, Jason McGerr, Dave Depper e Zac Rae vivono da tempo in città diverse, ma il problema è stato risolto in fretta condividendo file e demo nell’arco della classica giornata lavorativa: dal lunedì al venerdì, un giorno per uno e completo controllo editoriale al musicista di turno. Rischioso e forse non molto rock n roll ma almeno la metà dei brani di “Asphalt Meadows” sono nati da quelle remote sessioni digitali.
Anima composita quella di questo nuovo e decimo album, che vive di rumore, sintetizzatori e riverberi come quelli che popolano “Roman Candles” ispirata alla batteria dei Faust, un tentativo tutto sommato riuscito di scrivere qualcosa di “short, loud, and trashy” ben diverso dalle meditazioni grintoso ““ nostalgiche della title track e da quelle spirituali di “Here To Forever”. Uno spoken word feroce, intimo e personale chiamato “Foxglove Through the Clearcut” apre la strada a considerazioni sul tempo che passa (la deliziosa “Pepper”) e l’amicizia (“Wheat Like Waves” nata ascoltando proprio i Prefab Sprout).
Solo Ben Gibbard poteva scrivere un brano chiamandolo “Rand McNally”, che oltre a essere lo stato fantasma inventato da Lisa Simpson è il nome della casa editrice statunitense famosa per i suoi atlanti e carte geografiche grazie a cui hanno fantasticato e viaggiato generazioni di americani. Quattro splendidi minuti che parlano di ricordi e tradizioni da tramandare, cabine telefoniche e macchie di caffè sulle pagine molto usate di quelle guide ormai un po’ fuori moda. Il lascito di Gibbard sono i Death Cab For Cutie ed è stato chiaro su questo, ma la responsabilità nella stesura e nell’arrangiamento di un loro album non è mai stata così condivisa.
Se servissero un paio di canzoni post pandemiche ecco “I Don’t Know How I Survive”, ritmicamente complessa ma con un ritornello e una melodia efficacissimi o la ritmata “I Miss Strangers” puro indie rock con echi post punk tirati a lucido da un produttore come John Congleton che del genere se ne intende. “Fragments From the Decade” è quello che il titolo promette; un coeso insieme di ricordi sparsi e soffusi con una dolcissima parte di chitarra che da sola vale l’ascolto.
“I’ll Never Give Up on You” tira le fila con un testo tra i più onesti di un Ben che guarda al passato (“drugs that made me restless“, “alcohol that made me cruel“). Fanno di necessità virtù i Death Cab For Cutie e sembrano non sentire i venticinque anni di carriera, scrollandoseli di dosso con un lento movimento delle braccia e delle spalle. “Asphalt Meadows” cresce ascolto dopo ascolto, è un disco a cui ci si affeziona. Non cambierà il mondo ma può renderlo un po’ più umano in tempi ancora difficili.
Credit foto: Jimmy Fontaine