Attorno ad un nucleo solitario – materialmente separato dal mondo esterno, dalle sue mutevoli imposizioni, dalle sue sovrastrutture artificiose e dalla sue scadenze impellenti – si sono addensate emozioni e percezioni, domande e ricordi, ansie e ritrovate armonie, non necessariamente tutte connesse all’isolamento pandemico, che hanno contribuito a far germogliare queste canzoni.

Canzoni che sono, allo stesso tempo, la continuazione di una narrazione musicale largamente apprezzata e conosciuta, quella degli Afterhours, ma anche la necessaria rottura rispetto a tematiche, a suoni e ad atmosfere che erano, oramai, state mitizzate e rese, ovviamente, assolutamente stabili. Ed, invece, ora, nella ricerca di un nuovo percorso, di un nuovo essere, di una nuova speranza, di un nuovo Dio o, semplicemente, di nuovi sapori e nuove passioni, le trame melodiche dell’album si spostano in un territorio inesplorato, nel quale il pianoforte si sovrappone a rumori improvvisati e casalinghi, a ritmiche e a divagazioni intrise di pop elettrico, di noise e glam-rock, creando musiche capaci di essere ruvide ed amare, ma anche morbide e delicate, lontane anni luce da quel mostro nazional-televisivo che sfrutta l’arte e la cultura per diffondere la sua atroce peste di superficialità  e materialismo tra le persone.

E’ un mondo, il suo mondo, che pian, piano si mostra agli ascoltatori, rivelando i suoi angoli nascosti, le sue crepe, le sue fratture, i suoi giardini piacevoli ed odorosi, ma anche quella nebbia inconsistente alla quale, spesso, tentiamo di aggrapparci per motivare le nostre scelte o per costruire le fragili certezze della maturità , quelle dalle quali, tutto sommato, ci piace essere ingannati.

Siamo cresciuti? Siamo diventati più forti? Possiamo andare in giro, per la città , senza più ammalarci? Manuel Agnelli intona il suo canto d’amore e di scoperta alla madre primigenia, a colei che non ha alcun bisogno di essere idolatrata, raffigurata o celebrata dai vecchi e dai nuovi media. Lei non chiede statue o altari, ma solamente un fuoco perennemente vivo, un fuoco sacro che arde in quel tempio che è la nostra intimità , il nostro cuore, la nostra coscienza, l’Io che si apre all’altro e vorrebbe amarlo come se fosse lui stesso. Certo, i sentimenti e i meccanismi interiori sono esattamente gli stessi, indipendentemente dalle coordinate geografiche o temporali, indipendentemente da quanto potere, successo o ricchezza le nostre mani siano riuscite ad accumulare, ma sapremo rendere questo concetto reale? Riusciremo a viverlo davvero e soprattutto a viverlo completamente? Riusciremo a stabilire un contatto che non è solamente virtuale o celebrale, ma anche fisico? Riusciremo a guarire nell’amore?