A distanza di sei anni da “Kidsticks”, suo ultimo album in studio, torna finalmente a farsi sentire la cantautrice inglese Beth Orton, sin dai suoi esordi salutata con entusiasmo dalla critica specializzata che in lei vedeva un’autentica rappresentante della musica neo-folk, miscelata felicemente con l’elettronica.

Non suonava sbagliato definire la sua proposta innovativa, e se al giorno d’oggi il temine folktronica ci rimanda subito a qualcosa di ben definito, bisogna considerare che fu coniato proprio per artisti che come lei possedevano entrambe le anime: antica e contemporanea al tempo stesso.

Se è vero che può essere svanito da tempo l’hype nei suoi confronti (che poi, va beh, chi se ne importa!), è doveroso però rimarcare come ad ogni uscita discografica non abbia mai smarrito la sua vena da raffinata songwriter, che ama ancora sperimentare nel mettersi a nudo, prediligendo un sound intimista ma capace comunque di rapire e regalare forti scossoni emotivi.

Questa inclinazione è confermata a maggior ragione nel nuovo “Weather Alive”, che sin dalla struggente traccia eponima, delinea il mood dell’intera opera, incentrata sui sentimenti contrastanti che la Nostra riesce a veicolare con inaudita grazia interpretativa.

E’ un disco, questo, che si porta in dote un vissuto piuttosto intenso e rivelatore, quello di una donna che ormai ha superato i cinquant’anni e che si trova a dover in qualche modo rinascere dopo un periodo assai buio, contraddistinto dalla caduta nell’alcool a seguito di una depressione domata a fatica.

Beth Orton ha saputo scacciare i demoni e quello che ci viene trasmesso attraverso queste otto tracce è il desiderio di trarre linfa dalla nuova condizione di donna “libera” da ogni condizionamento, anche di mostrare le proprie debolezze e i propri vuoti esistenziali.

In tal senso colpisce finanche a commuovere un brano come “Lonely” in cui la Nostra rievoca il suo passato familiare, la sua condizione di giovane ragazza costretta a crescere troppo in fretta dopo aver perso entrambi i genitori. Il canto denota un incedere insolitamente dolente, come se a stento riuscisse a trattenere le lacrime, in un corredo musicale dai contorni onirici e venati di jazz.

L’autenticità  è il comune denominatore di canzoni memorabili come “Friday Night”, tra arpeggi delicati e minimali rintocchi elettronici; l’evocativa “Forever Young” e le sue sfuggenti note di pianoforte simil trip-hop, e “Haunted Satellite” in cui si rincorrono suggestivi beat ritmici.

Spicca nel contesto di un album dai toni placidi e carezzevoli, l’incalzante “Fractals”, che non ci stupirebbe fosse oggetto di qualche remix, come accaduto in passato ad altri suoi brani poi divenuti dei successi anche in ambito clubbing come “Central Reservation”.

“Weather Alive” è un album privo di punti deboli, un’esperienza da assaporare pian piano, i cui ascolti ripetuti saranno necessari per cogliere al meglio tutte le sfumature del suono e i tanti piccoli dettagli dei quali è composto.