Fino ad un certo punto “Athena” è un film letteralmente perfetto.

Le camere a mano incollate alle spalle dei protagonisti che si aggirano per Banlieue assediate dalla polizia, i fumogeni, i lanciarazzi, i biker in tute e caschi fluo che sfrecciano di fianco agli autocarri blindati, ci catapultano, con un effetto stordente, nel mezzo del tumulto. Gavras è da questo punto di vista impeccabile, mettendo tutta la sua perizia tecnica e una grandeur tutta hollywoodiana al servizio di una cruda storia di ingiustizia sociale: un giovane residente della Banlieu Athena è stato ucciso brutalmente durante un pestaggio da parte di un gruppo di poliziotti, o presunti tali.
Nell’inferno del ghetto occupato conosciamo i suoi tre fratelli: uno spacciatore che si preoccupa soltanto di far sparire “la roba” e le armi prima che faccia irruzione la polizia, un soldato che cerca di mantenere la calma e sfollare più innocenti possibile e il più piccolo, un feroce sobillatore disposto a guidare la rivolta e la guerra con la polizia ad ogni costo, finchè questa non rivelerà  i nomi degli assassini.

A fare acqua, ad un tratto, è però una sceneggiatura un po’ goffa che in men che non si dica trasforma il più responsabile dei fratelli in un mostro iracondo. Per poi mettere nelle mani di quello che ci viene presentato come un mezzo tonto, in precedenza incapace anche di farsi largo tra donne e bambini sfollati, un piano di distruzione di una intera palazzina mediante l’uso di bombole del gas e detonatori costruiti da lui stesso in una decina di minuti.

Meno grave è invece la rivelazione finale degli autori del pestaggio, che suona però come una dichiarazione assolutoria nei confronti delle forze dell’ordine, laddove il dubbio esperito per la durata della pellicola corroborava l’immedesimazione con i protagonisti.

Rimane un film dall’impianto visivo frastornante e in quanto tale da guardare anche solo per questo.