A poco più di un anno di distanza dal precedente “Invisible Music – Folk Songs That Influenced Angela Carter”, raccolta di tradizionali brani folk rivisitati, la cantautrice cantabrigense Polly Paulusma torna con un nuovo album di inediti: “The Pivot On Which The World Turns”.
Emersa con il primo lavoro “Scissors in My Pocket” (2004), registrato con l’aiuto del marito nel capanno in giardino, Paulusma si è subito fatta notare per la voce avvolgente, l’approccio folk condito da squisite delicatezze pop e testi non comuni: originali, profondi, ironici. C’era di che piacevolmente stupirsi. In seguito la songwriter ha sfornato “Fingers&Thumbs” (2007), “Leaves From The Family Tree” (2012), “The Small Feat of My Reverie” (2014) e pure “Cosmic rosy pine kites” (2005), sorta di corollario dell’esordio, essendone una rivisitazione in parte live in parte con l’ausilio di archi. Dopodichè il silenzio e i fan più catastrofisti e pessimisti temevano addirittura per la carriera della cantautrice inglese che però dalle sue pagine social aggiornava il proprio pubblico sulle attività live e nel frattempo proseguiva l’impegno come ricercatrice universitaria.
Polly deve evidentemente aver terminato il proprio cursus honorum giacchè dopo sei anni di silenzio ha dato alle stampe due dischi – rumors addirittura vociferano di un terzo a breve – e ha pubblicato un libro – “Angela Carter and folk music” – frutto della propria attività accademica. E quindi ben venga il momento di grande verve compositiva di un’autrice interessante come Polly Paulusma!
“The pivot“…” è una lunga, ma mai stancante, serie di riflessioni della songwriter sul poliedrico ruolo di donna che è il pivot del titolo giacchè come sosteneva Lev Tolstoj in Anna Karenina le donne: «sono loro il perno su cui gira tutto », anche se Polly puntualizza: «I saw wider interpretations of this epithet ».
E quindi la delicata “Snakeskin” apre le danze con i dolci ricordi di una figlia sul proprio padre, “Back Of Your Hand”, sbarazzina, riflette sull’innamoramento femminile mentre “Dirty Circus” e “Tired Old Eyes” vertono sulla maternità . La britannica rafforza le proprie liriche con una ricca varietà di stili – “Luminary” ha un adorabile e agitato tappetto sonoro a sostegno, “Any Other Way” possiede venature jazzistiche, “Sullen Volcano” è un trionfo di archi e piano – e sorprende per la molteplicità di soluzioni musicali – ben rappresentato dal suo essere polistrumentista, nel disco suona: chitarre (acustiche o elettriche), piano e mandolino – dando così vita ad atmosfere che si stampano indelebilmente nella mente dell’ascoltatore. Interessante anche il numero di collaborazioni che accrescono il valore dell’album: David Ford voce e chitarre in “Brambles and Briars”, Kathryn Williams voce, mellotron e organo in “The Big Sky”, e l’Elysian Quartet presente in “Bracklesham Bay” (scritta assieme alla scrittrice Laura Barnett, edita anche in Italia) e in “Robin”, pezzo pieno di speranza che chiude l’opera.
In questi anni l’assenza di Polly Paulusma sulla scena musicale si è fatta sentire molto, soprattutto per i suoi fans italiani (non pochi per la verità ) che a differenza di quelli d’oltremanica non hanno potuto approfittare della sua instancabile attività live, ma la cantautrice di Cambridge è tornata per restare e la sua ultima fatica “The Pivot On Which The World Turns” – lavoro fine quanto sfaccettato, sempre in bilico fra folk e pop d’autore con striature rock – è il modo migliore per riabbracciare idealmente tutti i suoi estimatori.